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21 ago 2011

PARTE PRIMA: ARRIVO IN CINA



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La Cina può cambiarci, la Cina mi ha cambiato, la Cina mi cambierà ancora.
Fumi grigi nel cielo più inquinato del pianeta, segreti e vestigia d’Imperatori divini, parchi incantati, arti marziali, geomanzia, nugoli di biciclette, dialoghi con gente comune e compagni del Campus, tazze di tè verde bollente, spiedini di scorpione e… ideogrammi, ecco il “mondo” che troverete in questo libro.
Anche se grandi pensatori hanno detto “è l’animo che devi cambiare, non il cielo sotto cui vivi” (Seneca) o “non potresti trovare la fine dell’anima neanche se viaggiassi ovunque” (Eraclito), nel libro troverete riflessioni sull’innato stimolo all’evasione di molti giovani, sul desiderio di conoscere mentalità diverse, sullo svegliarsi al mattino attendendo lo stupore per l’inaspettato.
Ricordi, emozioni, dal mio cuore al Vostro,
Lorenza Marini

PARTE PRIMA: ARRIVO IN CINA

CHE CI FACCIO QUI?
A chi mi domanda la ragione dei miei viaggi, solitamente rispondo che so bene quel che fuggo, ma non quel che cerco.
MONTAIGNE

Non ho mai saputo con certezza cosa avrei fatto “da grande”, l’hostess, la psicologa, l’archeologa, l’architetto, la scrittrice, l’attrice… di una cosa ero convinta: una volta adulta avrei viaggiato il più possibile!
E così arrivata a quella balorda età dei diciannove anni ho avuto una crisi d’identità: non avevo la minima idea su ciò che avrei studiato all’Università. Ero stufa di fare sempre le stesse cose negli stessi posti e con la stessa gente; certo nella mia routine ero al sicuro, perché tutto era conosciuto, si mangiava qui, ci si ritrovava lì, si andava in discoteca là, ci si vestiva così, si parlava cosà… basta, ci doveva pur essere un’uscita d’emergenza, non potevo, né volevo correre il rischio di perdermi in una vita ordinaria, già segnata! Avevo la sensazione d’essere su questo pianeta per qualcosa d’importante, d’avere un talento da esprimere… dovevo trovarlo!
Ed è così che grazie ai consigli di mio padre, ho trovato anch’io la mia strada: il cinese!
Molti, troppi a dir il vero, chiedono: “ma perché studiare proprio il cinese?”. Agli estranei rispondo: “mio padre asserisce che la Cina è il futuro”; a chi mi può capire svelo: “perché voglio scappare dall’Italia per un po’ e qual posto è più lontano della Cina?”; a me stessa racconto una favola: “c’era una volta una rana che aveva sempre vissuto sul fondo d’un pozzo ed ogni giorno si compiaceva della bellezza e comodità del suo piccolo mondo, ma un dì venne a trovarla una tartaruga del mare dell’est che l’informò dell’esistenza del mare e dell’immensità del cielo; udendo ciò, stupefatta e delusa, la rana si rattristò e non fu più felice come un tempo, ora sapeva che il mondo non era l’angolo di cielo che vedeva dal fondo del pozzo!”.
Grazie mamma e papà, come la tartaruga mi avete aperto gli occhi e svelato la mia reale natura; sì ora so che da sempre sogno spazi immensi, luoghi sorprendenti, una vita senza quotidianità, distante da aspettative legate a beni materiali, in cerca di libertà, compresa quella interiore.
Bruce Chatwin mi definirebbe una nomade, una che medita in solitudine, abbandona i rituali collettivi e non si cura dei procedimenti razionali dell’istruzione e della cultura. Questo Chatwin, narratore inglese del secolo scorso, si domandava: “perché divento irrequieto dopo un mese vissuto nello stesso posto, insopportabile dopo due?”. Ah come lo capisco!


I DUBBI DELLA PARTENZA
Il saggio non accumula, più usa ciò che ha per gli altri, più ha, più dà, più è ricco.
La via del saggio consiste nell’essere generoso, non nel competere.
LAOZI DAO DE JING

Dopo aver frequentato il primo anno presso l’Università Ca’ Foscari di Venezia realizzo che la lingua cinese non è poi così facile quanto sembra. L’unico modo per conoscere un Paese, migliorando al contempo la lingua, è vivere sul posto, come dicono i Cinesi: “viaggiare diecimila li equivale a leggere diecimila libri”.
Ignara dell’amore che proverò per questa terra, dopo mille tentennamenti, decido quindi d’iscrivermi ad un corso di tre mesi presso l’Università di Lingue e Culture di Beijing (Pechino).
Come recitavano i latini “porta itineris dicitur longissima est” (“la porta è la parte più lunga di un viaggio”), detto in parole povere: il primo passo è il più difficile da compiere. I preparativi per la partenza sono infatti lunghi e colmi di paure più che d’entusiasmo, mi dibatto tra assurdi monologhi interiori tipo quelli della Clarissa di Mrs Dalloway descritti da Virginia Woolf: “….una volta all’aeroporto come spiegherò al tassista dove andare… la vita del Campus sarà noiosa… la compagna di stanza sarà psicopatica come quella di Boston… il cibo e la lingua saranno un problema… mi ammalerò… gli amici italiani si dimenticheranno di me…?”.
Grazie al cielo molte di queste apprensioni si dilegueranno, tranne una, io cambierò, i miei amici “storici”, a parte Fedina, no e non ci capiremo più, mai più! Per fortuna però dopo un paio d’anni conoscerò anche in Italia persone speciali più simili a me, che come me condividono un innato desiderio di evadere per un po’ dall’Italia per scoprire il mondo, persone che come me hanno un concetto d’amicizia universale e non tendono né al possessivo né tantomeno alla gelosia!


LA PARTENZA
La regola del Cielo è la perfezione.
La regola dell’uomo è la ricerca della perfezione.
PROVERBIO CINESE

10 Settembre 2000.
Al gate di Milano Malpensa, con zaino in spalla e cuore in subbuglio, abbraccio forte papà, mamma e fratellino. Come al solito maschero bene la commozione, ma poi quando mi trovo da sola in fila per salire sull’aereo, scoppio in un pianto liberatorio: mi mancherete tanto!
Dopo dieci ore di volo trascorse quasi interamente nei servizi forse per la tensione, mi trovo nel moderno aeroporto di Beijing e mentre passo le formalità intense scosse d’energia e brividi di paura percorrono il mio corpicino di quasi donna. SONO IN CINA! Mamma mia forse era meglio restare a Torino, inserire il pilota automatico e vivere la solita vita! No no no e poi ancora no all’infinito! “E’ ricercando l’impossibile che l’uomo ha sempre realizzato il possibile. Coloro che si sono saggiamente limitati al possibile non hanno mai avanzato di un solo passo”, erano parole di Bakunin.
Appena fuori dall’aeroporto salgo sul primo taxi ed imbambolata dal fuso orario che anticipa di sette ore, mi siedo a fianco del tassista che non comprende quanto dico, ma per fortuna legge l’indirizzo del Campus che ho scritto s’un foglietto e mette in moto.
In silenzio per quasi un’ora su questo taxi “rosso”, un po’ fingo di capire il conducente, un po’ sbircio questa città che vive senza me da ben cinquemila anni. Pare un enorme cantiere, centinaia di uomini scavano con semplici piccozze e trasportano pesi stirandosi la schiena. Il Paese è in mutamento tanto rapido da creare inevitabili mescolanze architettoniche, squadrati condomini s’alternano a slanciati grattacieli e frastagliate pagode. Ecco la Beijing d’oggi, antico e moderno, oriente ed occidente in simbiosi ora conflittuale, ora armoniosa.
Sono giunta a destinazione e devo pagare, ma ho dollari perché in Italia non cambiano denaro in kuai (l’unità monetaria del Paese; all’epoca un euro corrispondeva a circa dieci kuai).
Con capelli color pece ed unti d’olio, il maleodorante individuo m’obbliga a prolungare il tragitto per cambiare il denaro e, rivelandosi anche disonesto, fa pagare la corsa duecento kuai invece di cento!
Quest’episodio è uno dei tanti che mette in evidenza la predisposizione dei Cinesi ad imbrogliare noi stranieri, chiamati laowai ogwailo (diavolo) ad Hong Kong, ma una volta capito il meccanismo s’evitano inganni, quasi sempre.
Superate queste prime difficoltà, arrivo al Campus che pare enorme con una trentina d’edifici suddivisi tra dormitori, teaching building, biblioteche, librerie e ristoranti, oltre a campi da tennis, pallacanestro, ping-pong e calcetto, c’è anche un supermercato ben fornito, una sala da tè con pub per chiacchierare (il mitico Blablabar) e persino un parco con ponticelli e salici dove praticare l’arte marziale del taijiquan, insomma una città nella città.
Questa sarà la mia città per tre mesi che poi diverranno dodici, città dove vivrò credo le più forti emozioni della mia vita, ricordi magici ed indimenticabili: tesori preziosi che nessuno potrà mai rubare!


ANCORA, MA CHE CI FACCIO QUI?
La verità non consiste in belle parole, le belle parole non sono la verità.
LAOZI DAO DE JING

Con spirito battagliero, grande forza di volontà ed un’insaziabile curiosità, vivo la mia prima infinita giornata cinese.
Varcata la soglia del Campus, mi dirigo vero la teaching building numero tre dove, dopo una coda interminabile, arriva il mio turno. Col mio poverissimo cinese spiego che sono appena arrivata e sono molto stanca. La signora dietro al bancone mi squadra con sufficienza e dopo avermi fatto compilare un foglio d’iscrizione e preso una delle mie tre fototessere, m’indica un’altra interminabile fila in fondo alla stanza. Stremata dalla stanchezza e con un’emicrania folle, dopo un’ora abbondante, giunge anche qui il mio turno. Questa volta un ragazzo sui trent’anni con un’espressione simpatica disegnata sul volto mi fa compilare un altro foglio, prende le rimanenti fototessere e ritira i soldi della quota d’iscrizione ancora da pagare, poi indica sulla mappa del Campus l’edificio numero sette dove troverò la mia stanza.
Senza grosse difficoltà trovo il dormitorio, mostro la prenotazione della camera alla signora seduta all’ingresso che controlla tutti quelli che entrano ed escono, salgo a piedi al secondo piano e sorpresa… la camera è microscopica, arredata poveramente con letto, televisore e telefono… l’armadio non ha le ante, anche se la polvere c’è, soprattutto in primavera quando la tempesta di sabbia del deserto mongolo invade la città.
Le sorprese non sono finite, faccio una doccia nel mini-bagno per togliermi la stanchezza ed allago tutto con il getto che arriva sulla tazza, sorvolando il lavandino grande quanto quello degli aerei. L’influsso di qualche inglese ha dettato l’assenza del bidet, peccato, secondo me è l’invenzione del secolo.
Se i servizi nelle stanze sono trascurati, quelli pubblici sono raccapriccianti perché i Cinesi, sebbene abbiano inventato la carta, non usano quella igienica; fanno eccezione le toilettes degli stabili di lusso ove un signora vende carta a cinque mao il centimetro, purtroppo una scritta a caratteri cubitali, stranamente tradotta in inglese, invita a riporre la carta in appositi cestini per evitare d’intasare gli scarichi (ancora come sugli aerei, ma qui siamo sulla terra ferma!), lascio immaginare l’odore, visto che i cestini sono svuotati una volta al giorno o quando capita. Ma il peggio deve ancora venire, perché in alcuni servizi non c’è porta che ripara da sguardi indiscreti, tanto è vero che nei servizi del porto di Qingdao lascerò da parte il pudore e farò pipì sotto gli occhi attenti di tre donne! Non c’è da meravigliarsi, perché questo non era un atto privato; infatti, all’epoca Ming i signori facevano i loro bisogni in presenza della servitù, pronta a porgere catino ed asciugamano. That’s China!

Uno strano senso di solitudine misto curiosità invade il mio cuore: ho percorso ottomila chilometri per vivere in una topaia… ma dopo un riposino di un’oretta, la bambina viziata dentro di me muore e l’euforia prende il sopravvento! E’ vero in Italia ho sempre vissuto come una principessa, ma prigioniera in una campana di vetro; ora sono libera, viva, pronta all’avventura! E cosa importa se per qualche mese dovrò vivere in una camera minuscola, senza neanche uno dei miei comforts?
Ed è così che rigenerata dopo una seconda doccia, decido di uscire, anche perché nella camera degli gnomi manca l’aria, è settembre e ci sono ancora quaranta gradi col novanta per cento di umidità.
Dopo pochi attimi sono vittima di uno dei tanti raccapriccianti “bombardamenti”: a causa dell’inquinamento, del freddo o dell’umidità, nove Cinesi su dieci sono affetti da tracheite e fin qui niente di male… peccato solo che camminando per strada s’incontra sempre qualcuno che, sfoggiando precisione balistica e mirando tra i miei piedi, per ora senza sbagliare, sputa con forza e rumore indescrivibile! Nelle aule, sui bus, nei templi, come ai tempi del far west si trovano ovunque grosse sputacchiere per soddisfare i bisogni del Popolo. Ad Hong Kong hanno risolto il problema in altro modo: uno sputo a terra costa una multa di ben seicento kuai! Comunque sia, i Cinesi preferiscono espettorare che inghiottire, la cosa è confermata dalla mia futura amica cinese Vivian, secondo cui sono i dottori che consigliano tale pratica, anche se potrebbero suggerire l’uso d’opportuni fazzoletti…! La schifosa faccenda è aggravata dal tè, bevanda che stimola la salivazione… ed i Cinesi di tè ne ingeriscono quantità industriali.
Dopo aver girovagato un po’ per il Campus, faccio sosta in un internet cafè per avvertire tutti in Italia che sono viva. Mentre scrivo mi accorgo che il ragazzo seduto sulla sedia accanto mi sta fissando intensamente. Alzo lo sguardo e sorrido, è alto, rosso di capelli, abbastanza muscoloso e con un piccolo neo sotto il mento. Lui ricambia il sorriso ed io attacco discorso: “ma anche il tuo computer è così lento a spedire le emails?” Josh è di San Francisco, ha due anni più di me ed è in Cina con una decina d’amici che hanno deciso di studiare cinese! Non so come, ma dopo un paio d’ore mi trovo seduta ad un ristorante cinese poco distante dal Campus con una ventina di ragazzi e ragazze provenienti da tutto il mondo. Sarò talmente impegnata nelle prossime giornate che non avrò neanche due minuti di tempo per inviare emails agli amici italiani… e pensare che avevo giurato di scriver loro tutti i giorni! Alla mamma invece tutte le mattine e le sere manderò un sms per tranquillizzarla.


LA CUCINA CINESE
Più si mangia e meno si sentono i sapori,
meno si mangia e più si sentono i sapori.
PROVERBIO CINESE

Questa mia prima cena cinese è indimenticabile, non solo perché conosco Sibille che diventerà la mia migliore amica e Josh il mioboyfriend (dopo tre mesi però… questo è un po’ il mio erasmus e mica lo voglio rovinare fidanzandomi subito?!), ma anche perché trascorro l’intera notte rannicchiata nel mio microspico bagno… dite cosa volete ma io il cibo cinese lo detesto!
Non solo il sapore è diverso, anche il modo di cucinare, servire, mangiare non è lo stesso.
Se da noi il pasto s’articola in portate successive, qui tutte le ordinazioni arrivano in tavola contemporaneamente e vengono mangiate nello stesso piatto con inevitabile “contaminazione” tra dolce, salato, carne, pesce, pasta e frutta! In questa concezione del servizio in tavola c’è un elemento positivo: con le portate contemporanee ognuno ha una visione chiara di quanto ordinato e, in base all’aspetto o dopo aver assaggiato, può ripartire le quantità dei cibi secondo le preferenze. A scapito dell’igiene ci si serve da piatti comuni con le proprie bacchette, perché non sono previste quelle di “portata”. La tavola viene apparecchiata con un piatto, un piattino per le salse, una ciotola per la minestra con relativo cucchiaio di porcellana ed un paio di bacchette. I tovaglioli sono microscopici, di carta sottilissima che si frantuma subito in mille pezzi, altro motivo per viaggiare con un pacchetto di kleenex in tasca! Con rammarico devo scordarmi l’acqua naturale, qui si consumano solo spropositate quantità di tè verde, rosso o al gelsomino, anche se in molti locali è possibile bere, nelle versioni originali o imitate, bevande tipo birra, cocacola, fanta e spriteoppure jianlibao (bibita al miele).
Qui la birra Qingdao è un must insieme alla grappa maotai, bevanda prediletta da Li Bai, mio poeta preferito celebre per poemi “inebriati dall’alcool” che si dice annegò nello Yangtze mentre, ubriaco, si sporgeva dalla nave per abbracciare un riflesso di luna!
Xiao, un esile ragazzino cinese che studia inglese e francese presso il Campus, spiega che i Cinesi sono la popolazione che più consuma alcool e tabacco nel mondo, sono diventati i primi consumatori di birra, superando gli stessi Americani e Tedeschi che parevano allattati con orzo e luppolo. Ipotizza che bevono e fumano incessantemente perché convinti non possa nuocere più di tanto, d’altronde l’esempio venne da grandi uomini come Mao Zedong e Deng Xiaoping che sebbene fumassero e bevessero senza sosta, sono morti in tarda età. E’ uno degli aspetti contradditori di questa gente che pur povera spende in sigarette ed alcolici, tanto che il venti per cento dei decessi è causato da disturbi respiratori e del fegato. Molti vengono ricoverati in centri di riabilitazione per alcolizzati, ma come biasimarli, si dedicano totalmente al lavoro e nel poco tempo libero i più equilibrati praticano il taijiquan e cantano al karaoke, mentre gli altri s’ubriacano con gli amici facendo ganbei (brindisi), con la particolarità che il bicchiere deve essere svuotato d’un soffio.
Il mio amico Xiao, grande bevitore, apprezza il vino cinese, in particolare quello giallo: “noi lo coltiviamo da quattromila anni, d’altra parte siamo stati noi ad inventare le bevande alcoliche”. Sarà, ma a volte questi Cinesi sono presuntuosi e per di più il loro vino è imbevibile: il rosso troppo dolce, il bianco acido, per non parlare di questo vino giallo ricavato dal riso che viene bevuto “caldo!”. Fa schifo!
Deng, un altro amico cinese, adora il vino con le api morte e soprattutto quello con i serpenti in salamoia, noto nel Paese per le qualità afrodisiache; ironico dice: “…più è velenoso il serpente, più potenti sono gli effetti”.

Xiao e Deng sono gli unici ragazzi cinesi seduti al nostro tavolo quindi si sono presi la briga di ordinare una quantità smodata di portate senza preoccuparsi di quanto avanzeremo, perché alla fine del pranzo una cameriera depone quanto rimasto in contenitori da portar via, come in America.
Le portate arrivano tutte contemporaneamente e su ogni piatto è appiccicato un foglietto con il nome del cuoco che l’ha cucinato, così ci si può complimentare di persona! Ci sono miantiao (spaghetti cinesi accompagnati da carne, verdura e germogli di soia),jiaozi (ravioli di carne o verdura cotti al vapore, bolliti e fritti), funghi cinesi, mantou (pane al vapore), patate caramellate da intingere nell’acqua calda per amalgamare il caramello, striscioline di carne di manzo secca, melanzane in salsa all’aglio e piccantissimo tofu speziato con cui per poco vado all’altro mondo, il tutto condito con riso bollito scondito, che sostituisce il pane delle nostre tavole (più il pranzo è ricco e meno riso si serve).
Ma questi sono solo assaggi, i piatti forti fanno il loro ingresso più tardi. Prima il cameriere pulisce del pesce in agrodolce aiutandosi con le sole bacchette e poi arriva la specialità pechinese per eccellenza: l’anatra laccata.
La povera bestia arriva in tavola intera ed un cuoco ne taglia le carni in fette sottilissime. Adam, un bel ragazzo di Perth sulla costa occidentale dell’Australia per cui prendo una cotta allucinante che dura fino a quando riesco a conquistarlo… Adam, dicevamo, mi spiega come si mangia: “…su uno di questi finissimi pancake cotti al vapore adagi cipolla, cetriolo ed un pezzo d’anatra intinto nella salsa fatta con farina di grano fermentata, poi chiudi la focaccina arrotolandola e l’ipercalorico boccone è pronto”. Non faccio a tempo a preparare il paninozzo che la cameriera porta della zuppa con gli scarti dell’anatra bolliti! Normalmente, continua Adam, la zuppa va bevuta al termine del pasto per facilitare la digestione, ma per noi laowai s’è fatta un’eccezione.
Impallidisco nel vero senso della parola quando arrivano le cavallette fritte… pensavo fosse solo una leggenda! Avevo letto che nel nono secolo un Imperatore della dinastia Tang insegnò a friggere queste bestie per dimostrare che le periodiche invasioni non erano un segno della collera celeste, ma un fatto naturale che l’uomo poteva dominare capovolgendo uno svantaggio. Le sorprese non sono finite perché vengono servite delle “cose” nerastre e gelatinose dall’odore indescrivibile, sono le famose uova dei cento anni, ricoperte con foglie di pino e terra, poi cotte nella calce viva e, secondo la tradizione, fatte ammorbidire nell’urina di cavallo!
Cerco di assaggiare un po’ di tutto, ma è più forte di me gli unici cibi che riesco a buttar giù senza smorfie sono riso e patate caramellate… alimenti che mangerò in grandi quantità per i prossimi mesi insieme a pollo fritto di KFChamburger di Mac Donald’s  e gelati Hagen-Dazs… nonostante le interminabili ore di palestra, però tornerò in Italia con qualche chiletto in più!
Sono viziata o troppo legata alla cucina mediterranea? E’ strano, la cucina dei ristoranti cinesi “in Italia” mi stuzzica, ma questa proprio non m’alletta, e poi sfido chiunque a gradire uova macerate nell’urina di cavallo! Ciò che spiace e che sono la sola a non gustare, visto che i miei nuovi amici pescano con le bacchette senza sosta desiderosi d’assaggiare tutto, uova e cavallette comprese!
Xiao sembra contrariato e chiede se voglio altro riso bianco, ringraziando scuoto la testa e dopo chiedo se è vero quello che dicono dei Cantonesi: mangiano qualunque cosa vola, purché non sia un aereo, qualunque cosa nuota, purché non sia un sommergibile, tutto ciò che ha le zampe, a parte i tavoli, e tutto ciò che striscia senza eccezioni. Lui fa cenno di sì con la testa, altro che involtini primavera e riso alla cantonese, solo esotici intrugli come zuppa di pinne di pescecane, zuppa di serpente, cervello di scimmia, stufato di cane, gatto, topo, gufo, tartaruga, rana ed i famosi dim-sum (letteralmente “un piccolo pensiero nel cuore”) cioè snacks che accompagnano il rito del tè, una sorta di fast food cinese!
Interviene alla conversazione Jeff, il compagno di stanza di Josh, un gran bel ragazzo con un fisico scolpito anche grazie alla pallanuoto, vive a Pechino da quattro mesi ormai e pur non avendo sfiorato neanche con la punta della lingua gran parte dei piatti forti, definisce la cucina cinese “povera”. Secondo lui, e Xiao concorda, i cibi sono piccanti, speziati ed accompagnati da tanta pasta, riso e verdure, per dar sapore e riempire lo stomaco. E poi inter nos non può essere che povera la cucina che mette in pentola ogni tipo d’essere vivente, cani, scimmie, serpenti, scorpioni e… bambini! Bambini? Già Jeff racconta che nell’antichità un Imperatore comandò al cuoco di servirgli la carne del suo bambino arrostita sulla piastra. Ma allora è vero?! In effetti, nella Biblioteca della Ca’ Foscari lessi un articolo dal titolo “ingerire carne umana ha una tradizione in Cina”, secondo cui nel duecento a.c. il primo Imperatore della dinastia Han, constatando che la fame affliggeva il paese, permise alle famiglie contadine di scambiare i figli per non mangiare i propri ed in tempi recenti, durante la carestia del cinquantotto, furono documentati casi di genitori che ammazzarono i figli per nutrirsi. Xiao impassibile esclama: “è comprensibile che in caso d’estrema necessità si sacrifichino i figli per mantenere i genitori!”. Già, spesso dimentico d’aver a che fare con una società in cui famiglia e soprattutto rispetto verso i genitori svolgono un ruolo dominante… ma meno male che in Italia si ragiona in modo diverso!
Ma questo è il passato, dice Deng che come tutti i Cinesi non vuole si dipinga negativamente il suo Paese. Oggi i Cinesi non muoiono di fame, anzi mangiano di tutto, a tutte le ore, per un totale di cinque pasti quotidiani! In effetti nei prossimi giorni, camminando con Xiao e Deng per la città, vedrò in ogni momento della giornata gente che gusta per strada spiedini o altre schifezze simili. Per esempio ricordo ancor’oggi quando Xiao mordicchiando uno spiedino dice “…sono scorpioni, curativi per gli occhi!” ed offrendomene uno aggiunge “è buono, ma se preferisci carne bianca prendi una porzione di serpente fritto, previene le rughe e facilita un’eventuale gravidanza”, cortese e sorridente rifiuto, anche se sto per finire a terra lunga e tirata!
In Europa facciamo i pietisti citando il cagnolino che frigge nella pentola cinese, dimentichi che andiamo pazzi per vitelli ed agnelli di pochi mesi fatti arrosto, che sotterriamo un’oca fino al collo, la rimpinziamo finché non le scoppia il fegato e ricaviamo il foie gras, e poi… abbiamo persino fatto “impazzire” le mucche; inoltre, non mangiamo gli scorpioni o la carne di serpente, ma troviamo buoni cervella, lingua, cuore, collo, fegato e ghiandole varie…!
Svuotata l’ennesima ciotola di riso scondito, Sarah mi sgrida: “non devi mettere le bacchette parallele sulla ciotola, è come augurare la morte di qualcuno!”. Infatti, quando qualcuno muore si posizionano due rametti d’incenso accesi nella stessa posizione sopra una ciotola di sabbia o riso. Sarah è la fidanzata di Xiao, una bella giovane parigina che vive a Beijing da anni ormai lavorando come insegnante di francese ed inglese in una piccola scuola vicino al Campus, è molto simpatica soprattutto dopo avere tracannato litri di birra e grappa… Racconta che i Cinesi sono maestri nel maneggiare le bacchette, nella scuola di Shaolin i monaci col solo ausilio delle bacchette riescono ad afferrare una mosca mentre vola, senza ammazzarla ovviamente. Sarah racconta anche una barzelletta: un diplomatico francese, durante una cena con tavola apparecchiata alla cinese, reclamò a gran voce le posate e domandò “ma voi davvero usate questi affari da tremila anni?”. L’uomo cinese che l’aveva invitato rispose “certo, da tremila anni, non come voi Francesi che duecento anni fa mangiavate ancora con le mani”.
Tutti gli Orientali si sbellicano dalle risa, mentre noi Occidentali incassiamo, dopo tutto è la verità!
Deng allora chiede il conto onde evitare si scateni una rissa tra est ed ovest… sono già le otto e domani iniziano le lezioni per tutti (in Cina si pranza a mezzogiorno e si cena alle sei). Arriva il totale e rimango senza parole: paghiamo appena duemila lire a testa!
Sarah e Bonnie mi accompagnano a casa, mentre Xiao và ancora a bere con gli altri al Blablabar, ma io sono sfinita dal sonno. Mentre torniamo Sarah mi confida che anche lei odia la cucina cinese, le mancano l’acqua frizzante, i formaggi, i prosciutti ed il cioccolato, ma non ha altra scelta, ogni tanto và a comprare i cibi occidentali dal negozio Jenny Lou in centro, ma costano cari ed il sapore non è mai come quello di casa! Poi ironizza che Inglesi ed Americani, abituati a variare i pasti passando da un hamburger ad un cheeseburger, vanno matti per la fantasia della cucina cinese!
Arrivate al dormitorio scopriamo che abitiamo tutte e tre al secondo piano, le nostre stanze sono vicine. Sarah raggiunge Xiao e gli altri al Blablabar mentre io e Bonnie chiacchieriamo ancora un po’ sedute sul mio letto, io vorrei dormire ma sono troppo entusiasta di essere in Cina, preferisco restare sveglia per non perdere tempo, ne ho già perso troppo forse!
Bonnie è una ragazza Filippina, molto bella e sensuale, dice che Manila è splendida, ma oggi è pericolosa per noi stranieri a causa dei frequenti rapimenti. Poi rimane senza parole quando dico d’aver solo un fratello, perché loro sono in quindici! Ma Bonnie non sembra contenta: “credimi è una disperazione vivere con tante persone, soprattutto se ognuno professa una religione differente: mia madre è Buddista, io Cattolica, mio padre Taoista ed ho fratelli Protestanti, Islamici, Induisti. Vedi Malini (il mio nome cinese) queste divergenze religiose sono un problema soprattutto se ti devi sposare, sapessi quante discussioni per sposarmi nella chiesa cattolica di Manila!”. Poi il sorriso torna ad illuminarle il viso: “perché non vieni al mio matrimonio, sarà in agosto!”. Resto senza parole perché Bonnie ha solo vent’anni e Ron è il suo primo ed unico ragazzo con cui naturalmente potrà avere rapporti sessuali solo dopo il matrimonio. Con il mio solito savoir-faire le chiedo se è convinta di sposarsi, lei scuote la testa ed esclama: “mei banfa, non ho scelta, mio padre vuole che mi accasi ed abbia bambini al più presto!”. Notando il mio disappunto aggiunge: “noi Filippini siamo un po’ conservatori, se in età di matrimonio (venti – venticinque anni) non ti sposi sei vista come zitella o prostituta”… e Bonnie non vuol essere né l’una, né l’altra! Un pò come in Giappone dove la “torta di Natale” è la ragazza che dopo i venticinque anni non si è ancora sposata e, come il panettone dopo Natale, diventa un bene svalutato, guardato con sospetto.
Bonnie forse imbarazzata per essersi sbottonata troppo con una perfetta sconosciuta, mi augura la buona notte, si rimette le scarpe che aveva lasciato fuori dalla porta come usano gli orientali e corre nella sua stanza!
Apro la valigia, prendo un pigiama e mi getto nel letto ma, seppure esausta, non riesco a prendere sonno. Un po’ sono in preda ad attacchi di mal di stomaco e nausea di rara intensità ed un pò non posso credere di essere davvero dall’altra parte del mondo, in Cina! E così come spesso succede quando la notte non riesco a dormire, apro il diario e scrivo… di solito sono frasi disconnesse che comprendo solo io, altre volte invece sono pensieri universali che poi trascrivo sul computer e mando agli amici in Italia. Questa notte per esempio seduta alla scrivania della mia minuscola stanzetta scrivo…
La vita è fatta di priorità… trova la tua priorità più grande e vivi per quella priorità, altrimenti perderai per strada l’essenziale, inseguendo false chimere portate dal tempo. Prendi in mano la tua vita e vivila nel profondo. Corri corri a perdifiato contro la corrente che trascina, infrangi la marea di chi ti porta in giù, distruggi le barriere dell’indifferenza, sorridi a chi non sa che la vita non si ferma MAI! Anche nei giorni tristi la vita è amore, anche tra le bufere la vita è amore, tutta la vita è un dono canta per lei, canta per lei…” Non devi aver paura di fermarti un attimo ad aspettare… ASPETTA, prenditi il tuo tempo, il tuo tempo non è quello della fretta, della rabbia o della paura, se hai una difficoltà… siediti, fai silenzio intorno a te e dentro di te, una dolce musica giungerà al tuo orecchio: è la CONSAPEVOLEZZA!
Poi ormai desta del tutto anche perché ogni secondo devo correre in bagno a rigettare, spalanco la finestra e nel mezzo della notte, osservando il giardinetto su cui s’affaccia la mia stanza, mi perdo in mille pensieri. Bizzarro, dopo questa chiacchierata con Bonnie per la prima volta in vita mia medito seriamente sul matrimonio… ma chi si vuole sposare? Povera Bonnie che una volta moglie e poi madre alla sola età di ventun’anni non potrà godersi la pubertà in libertà! Matrimonio, a patto che trovi il mio “lui per tutta la vita”, mi sposerò non prima dei trent’anni, dopo almeno un anno di convivenza. Figli… non prima dei trentadue… saranno Ginevra e Sofia se femminucce e Niccolò se maschietto; speriamo mio marito condivida le mie scelte… poche ma chiare idee!


ENTRARE NELLA TESTA DI “GELSOMINO PROFUMATO”
Un allievo incontrò difficoltà nel descrivere il Maestro, Confucio allora commentò: “Perché non hai detto semplicemente, Egli scorda di mangiare quand’è impegnato nella vigorosa ricerca della conoscenza, ha in sé una tale gioia che scorda i propri affanni e non si accorge della vecchiaia che sopravanza?”
CONFUCIO

L’indomani mi sveglio di buon’ora con delle occhiaie da bue, a dir il vero non ho chiuso occhio tutta la notte.
Dopo una doccia fredda ed aver disfatto la valigia, alle sette esco di casa alla ricerca dell’aula dove iniziano le lezioni. Ho ancora lo stomaco in subbuglio, indi per cui non ho la minima intenzione di fare colazione.
Entro nella classe, sono la prima, mi siedo ed attendo.
Man mano entrano i miei nuovi compagni: Bob di New York, Hero di Osaka, Tiffany di Sidney, Adam di Melbourne, Mary di Nuova Delhi, Rathica di Londra e persino Elena di Torino… in tutto siamo una ventina, almeno una decina sono coreani!
Per ultima, due minuti prima delle otto, arriva la Professoressa Du, una donna grassottella sulla cinquantina con un paio d’occhiali bizzarri che sembrano quelli che indossava il Grande Timoniere Mao. Fa l’appello storpiando i nomi ed ogni volta chiede scusa ridendo e comprendosi con la mano la bocca. Inizia a parlare in cinese, ma noi poveri asinelli non capiamo nulla. Dopo mezz’ora comprendiamo che ognuno di noi deve presentarsi in cinese, quando chiede se ci sono volontari decido di offrirmi, la dialettica è sempre stata migliore della listening.
Alle dieci l’insegnante ci dice che possiamo andare a casa, ma non senza averci dato l’elenco dei libri da ritirare presso la solitateaching building numero tre.
Mentre torno al dormitorio con lo zaino pieno di libri, una gracile ragazza cinese s’avvicina e con inglese zoppicante chiede se voglio diventare la sua yuban, cioè lei mi dà una mano col cinese, mentre io le insegno inglese. Accetto senza pensarci due volte. Sono in Cina per imparare cinese quindi diamoci da fare. Arrivata al dormitorio la invito a salire, ma lei rifiuta perché i Cinesi non possono entrare dove vivono i laowai. Per timore che la mia prima amica cinese se ne vada, la invito a bere una tazza di tè al Sammie’s, bar del Campus dove gli studenti studiano socializzando, come in America.
Sorseggiando una tazza bollente di tè inglese, Xiang Lan (Gelsomino Profumato) si presenta come Vivian, è cinese ma ha un nome inglese, come noi stranieri ne scegliamo uno cinese perché pronuncia e memorizzazione dei nomi reali sono difficili per entrambi.
Che strana gente, hanno nomi così poetici che è un peccato cambiarli. Per esempio un’amica di Vivian si chiama Bing Qing (Ghiaccio Luminoso) ma si presenta come Betty, lo stesso vale per Yan Yan (Yan la rondine, ma se il carattere viene raddoppiato significa eleganza) che diventa Jenny, cosa c’entra poi?
Col mio cinese elementare cerco di spiegarle che secondo me i nomi occidentali sono davvero brutti se paragonati a quelli cinesi, ci chiamiamo tutti allo stesso modo, Mike, Paul, Jack, Jhon, Bob… per non citare i George Senior/Junior e  cosa dire poi dell’abitudine italiana di chiamare i nipoti col nome del nonno?
Vivian è identica a milioni di cinesine con capelli lisci, lunghi e neri, quasi tendenti al blu, mani piccole, morbide con unghie corte ben tenute ed un’ingenua espressione da bambina. Bambina? E’ difficile indovinare l’età dei Cinesi, sembrano tutti bambini, a prima vista non le darei quindici anni, guardandola bene arriverei a diciotto, ma non direi che è mia coetanea!
Anche lei è nata sotto il segno della Pecora (1979), il più femminile dei segni zodiacali, premurosa ed altruista, sentimentale e sognatrice, ama le cose belle ed ha bisogno di sicurezza, sul lavoro ha talento creativo ma manca di metodo, si perde dietro i sogni e detesta regole e responsabilità… così recita l’oroscopo cinese che, a differenza del nostro, si basa sull’associazione della propria data di nascita ad un particolare ciclo di tempo determinato dai movimenti lunari.
Se in Occidente sono Gemelli ed in Cina Pecora, in Corea e Giappone sono gruppo 0: là il gruppo sanguigno svela i segreti più reconditi! Infatti, la mia compagna di Seul, Nami dice: “quelli di tipo 0 amano la vita, l’avventura e sono ottimi compagni, quelli del gruppo A sono suscettibili e polemici, i B romantici e sognatori, gli AB lunatici, strani e misteriosi”.

Anche se sono solo poche ore che parlo cinese con Vivian, sono già esausta perché pur riuscendo a memorizzare parole e sillabe, di rado ne ricordo l’intonazione. Già! Per la felicità di noi stranieri, oltre ai sessantamila caratteri, il cinese ha anche quattro toni che diventano nove nel dialetto cantonese.
Sembra quasi una barzelletta, la stessa sillaba con uguale pronuncia ma diversa intonazione significa le cose più disparate: baciare e domandare (wen), otto e papà (ba), comprare e vendere (mai), chilometro ed attrice (gong li) e mille altri ancora.
Racconto a Vivian quando durante una delle prime lezioni a Venezia, la povera insegnante Zhang cercava di spiegarci la differenza tra i vari toni:
“ma” lungo, la voce segue come una linea retta, vuol dire “mamma”;
“ma” acuto, la voce che si impenna e vola in alto, significa “canapa”;
“ma” modulato, una tonalità che prima sale e poi scende come se la voce segnasse una curva sonora, traduce il nostro “cavallo”;
“ma” secco, la voce che piomba giù e si blocca senza strascichi, vuol dire “imprecare”.
Povera donna, neanche i secchioni seduti in prima fila riuscivano ad azzeccare l’intonazione, ma lei ogni volta invece di perdere le speranze rideva di gusto, una risata spontanea e sincera. Vivian strabuzza gli occhi perché i Cinesi adulti ridono di rado. Scoprirò vivendo a Beijing che questo Popolo ha una capacità sorprendente di padroneggiare emozioni e, come dicono loro, “salvare la faccia”, forse è l’effetto della cultura, perché il Cinese di basso ceto pare invece spontaneo…
Questo atteggiamento può essere d’intralcio a noi laowai desiderosi di scoprire la Cina, ma grazie al cielo Vivian non ha questa maschera, anzi è ingenua ed istintiva soprattutto quando domanda: “l’Italia fa parte dell’Onu e dell’Europa, allora parlate tutti inglese, francese, spagnolo e tedesco?”. Straluno gli occhi pensando alle fatiche del Liceo Linguistico! Poi, ancora mi sorprende: “come sono grandi i tuoi occhi, anch’io li voglio, i miei non mi piacciono, sono così piccoli che non li posso neanche truccare”. Ironizzando, la informo che un chirurgo plastico italiano ha fatto soldi a Shanghai ingrandendo gli occhi alle Cinesi più abbienti … !

Il tempo trascorre rapidamente, sono già le sei passate ma noi seguitiamo entusiaste a discorrere allegramente in chinenglish (il suo inglese è di gran lunga migliore del mio cinese), non riusciamo a separarci perché abbiamo troppi argomenti interessanti di cui discutere.
Per esempio approfittando di qualche secondo di silenzio, le chiedo se anche in Cina venerdì diciassette porta sfortuna. No, per loro l’innominabile è il quattordici: sugli aerei dell’Air China manca il posto quattordici, come da noi manca il diciassette e sulle linee americane il tredici! “Perché proprio il quattordici?” le domando incuriosita. “Il quattro come il quattordici in cinese si pronuncia come morte! Vivian dice che i Cinesi fanno di queste credenze una malattia, il quarto piano è generalmente occupato da uffici, negli hotel nessuno vuole le stanze numero quattro e quattordici ma tutti vogliono la camera 666, perché il sei rima con hao che in cinese traduce il nostro “buono”. Pensare che da noi la successione 666 richiama il diavolo?!
Domando: “porta iella passare sotto una scala, appoggiare il cappello sul letto, dormire con i piedi verso la porta?” Vivian ride divertita: “ma figurati, mai sentite queste cose”. Basta questa considerazione per dimostrare quanto prive di logica siano le credenze, com’è possibile che il tredici porti male solo agli Yankee e fortuna a noi Latini? Personalmente passo sotto una scala, appoggio il cappello sul letto e mi metto in viaggio con la nebbia di venerdì diciassette… a dire il vero, però, passo la saliera appoggiandola sul tavolo e non sulla mano! Dunque, sono anch’io superstiziosa!?

Abbiamo appettito. Sono quasi ventiquattr’ore che non ingurgito nulla, ma mi rifiuto di mangiare cinese, quindi ordiniamo un panino al tonno con qualche verdura fresca, anche se in Cina si dovrebbero abolire frutta e verdure non cotte poiché l’acqua non è potabile.
Mentre divoro il sandwich che per fortuna non mi riserva nessuna sorpresa, chiedo a Vivian d’insegnarmi qualche insulto cinese… inizio dicendole che io conosco solo ta ma de che letteralmente significa “vai da tua madre”, ma in realtà corrisponde all’internazionale fuck you ovvero vaffff…
Vivian che ormai è entrata in confidenza, dice che gran parte delle insolenze traggono ispirazione dal mondo animale. Si usa l’espressione “rana lebbrosa” per descrivere qualcuno brutto, “mosca senza testa” per chi non sa risolvere le situazioni più semplici, “scarafaggio di terra” per uno grezzo e sprovveduto che proviene dalla campagna… ma i suoi slang preferiti sono “tonto come una gallina di legno” e “vagare tra fiori e salici” che indica fare l’amore… Divertenti sono anche le espressioni “mangiare tofu” (il formaggio di soia) che si riferisce alla soddisfazione dei piaceri sessuali extra coniugali e “cappello verde”, cioè se la moglie mette “il cappello verde” in testa al marito, vuol dire che gli fa le “corna”.
La vera natura forse troppo tradizionalista di Vivian si svela quando chiede: “ma quanti Paesi hai visitato, i tuoi genitori hanno appoggiato la tua scelta di vivere per qualche mese lontano da casa?”. Arrossisco e mento: “questa è la prima volta che vado lontano da casa, a parte qualche breve soggiorno nel Regno Unito per migliorare l’inglese”. S’illumina, vorrebbe fuggire negli Stati Uniti per perfezionare la lingua, ma i suoi genitori non sono d’accordo, per ragioni economiche e morali; in un secondo tempo mi confida che sebbene l’idea di vivere all’estero l’alletti, allo stesso tempo l’intimorisce, perché come molti tradizionalisti è ostile al mondo moderno di noi laowai ed è decisa a restare in Cina fino alla morte, seguendo l’esempio di Mao che raramente lasciò il Regno di Mezzo.
Noi stranieri siamo sempre stati visti con scetticismo dai Cinesi. Fin dall’epoca Ming (1368-1644), in cui gli Imperatori ritenevano di non avere da guadagnare dal contatto con gli stranieri, la Cina è rimasta una gigantesca isola chiusa in se stessa: a nord protetta dalla muraglia, ad ovest da deserti e catene montuose, a sud-ovest da foreste, mentre il mare cingeva le spalle. Nell’epoca Imperiale la Cina era l’universo, tutto il resto erano comete fugaci che l’attraversavano senza lasciar traccia. Un proverbio recita: “quando la radice è profonda, perché temere il vento?”. Partendo dal presupposto che un Cinese rimarrà sempre un Cinese, è ovvio che risulti inutile temere l’occidentalizzazione, per esempio, nell’epoca imperiale nessuno prestava attenzione ai predicatori di religioni barbare che mostravano immagini della loro divinità come quella d’una “donna con bambino in braccio” (raramente veniva mostrato il Cristo crocifisso, perché i Cinesi non comprendevano come una divinità potesse venire così crudelmente assassinata!).
Vivian dice che ancor oggi i Cinesi soffrono di complessi di superiorità e non fanno salti di gioia per ospitarci: “noi Cinesi siamo più d’un miliardo e non vogliamo ospitare studenti e uomini d’affari occidentali, non proviamo interesse nei vostri confronti. A noi non manca nulla”. Sono rossa dalla rabbia, proprio loro che modellano città e modi di vivere copiando l’ovest! Eppure, qualcosa contraddice l’affermazione di Vivian: i posti sui treni, aerei e bus erano separati, c’erano quartieri e negozi (Friendship Store) dove i Cinesi non potevano neanche entrare… per evitare travasi di cultura o darci un privilegio? Un aneddoto parrebbe dire che si tratta di vantaggi a nostro favore: sul bus con Sibille l’indomani vedo un signore cinese con i piedi sul sedile, arriva subito il controllore che urlando li fa abbassare, ma qualche sedile più un là un ragazzo americano è seduto nella stessa posizione…. lui può, è straniero! Ed ancora, la solita bigliettaia chiede ad un anziano signore d’alzarsi per lasciarmi sedere… sono indignata ma per educazione accetto, non voglio mica cambiare il loro modo di pensare!

La discussione si fa più interessante quando arriva Xiao e siede con noi. Avendo vissuto tre anni in Francia per perfezionare la lingua non è certo “all’antica” come Vivian, anzi vede la vita da tutt’altra prospettiva, crede che la gioventù cinese abbia gli stessi interessi di quella occidentale, ascolta la nostra musica, segue la nostra moda e sogna di viaggiare. Xiao spiega che gli anziani tradizionalisti non vedono di buon occhio questo atteggiamento: “preferirebbero vederci fare il taijiquan ed indossare l’uniforme di Mao, io non ho nulla contro il Grande Timoniere che fu certo “grande”, ma la nuova generazione vuole un proprio mondo, non uno ereditato!”. Nulla da obiettare a tale proposito (avrei da ridire sul “grande” Mao, ma non intendo accendere discussioni politiche con una persona che conosco da solo quarantott’ore), ma allo stesso tempo capisco il timore degli anziani: sanno che un’apertura culturale farebbe conoscere alla nuova generazione altri sistemi politici e nuovi concetti come quello di libertà, vocabolo che non esisteva nella lingua cinese fino agli anni venti quando venne recepito dalla lingua giapponese!
L’opinione di Xiao riporta ad esigenze analoghe della gioventù italiana che, con gonne corte ed eccessi di spensieratezza, lotta contro le abitudini dei nonni per raggiungere la “libertà” che da noi non ha più un senso politico, ma solo esistenziale: propendiamo alla convivenza, studiamo fuori casa, rientriamo da notti brave all’alba, ascoltiamo musica rock, abbiamo vettura, telefonino, conto in banca ed alcuni persino l’alloggio personale; i nostri nonni invece, quasi non dialogavano in famiglia, conseguita la licenza elementare si sposavano, di rapporti prematrimoniali non se ne parlava e tanto meno di superfluo, dovere, dovere e basta, come in Cina oggi… temo ancora per poco. Col passare del tempo, anche i Cinesi si scuoteranno di dosso secoli di pazienza, regole e tradizioni, al ritmo del rock, come abbiamo fatto noi e prima di noi i nostri genitori!


MEILI, MAGRA COME UNA CANNA DI BAMBU’

Il detto “se si cerca s’ottiene, se si trascura si perde” si riferisce alla ricerca interiore; in questo caso, cercare equivale ad ottenere.
L’affermazione “quanto a cercare v’è il modo (tao), quanto ad ottenere v’è il fato (ming)” si riferisce alla ricerca fuori di noi; in tal caso, cercare non equivale necessariamente ad ottenere.
MENCIO

L’indomani mattina mi desto di buon ora e dopo aver comprato uno yogurt da bere nel piccolo negozietto di fronte al dormitorio, vado a lezione.
Mentre sto tornando a casa sfinita dopo la seconda giornata di scuola (la notte a causa del fuso orario e dell’euforia ancora non riesco a dormire più di tre ore), un’altra cinesina come Vivian mi chiede di essere la mia yuban; diversamente da Vivian, Meili (Maria per noi laowai) studia spagnolo da appena tre settimane, per cui parliamo sempre in cinese, sarà uno sforzo proficuo ed il mio cinese migliorerà rapidamente, il suo spagnolo un po’ meno visto che Meili è un po’ dura di comprendonio…
Aprofittando della bella giornata di sole sediamo sulle panche del parco di fronte ai campi da tennis ed iniziamo a chiacchierare.  Meili è la classica cinesina: carnagione giallognola, lunghe trecce nere, occhiali spessi e… “magra come una canna di bambù”. E’ molto più timida di Vivian quindi le argomentazioni sono perlopiù generali. Non è pechinese ma di Haerbin, la fredda capitale della Provincia Heilongjiang nell’estremo nord della Cina, vicino alla Russia. Con pazienza descrive la sua città che in verità non ha particolari attrattive se non l’Ice Lantern Festival (dal cinque gennaio al quindici febbraio) ove vengono esposti animali e costruzioni scolpiti nel ghiaccio.
Meili è un’animalista e naturalista convinta ed il suo sogno è vedere un giorno  la tigre della Manciuria  che vive dalle sue parti. Ma è in via d’estinzione, aggiunge, a causa dei bracconieri che l’uccidono per la pelliccia pregiata, quella che indossiamo noi gente dell’ovest! Da queste parole traspare l’atteggiamento “ostico” nei confronti dell’Occidente, forse questa prevenzione è generata dal sospetto che l’Occidente voglia “rubare” i loro tesori? Forse non hanno torto a ritenersi “ricchi”, se non altro perché hanno appena iniziato a sfruttare le enormi risorse, mentre noi stiamo già raschiando il fondo del barile…
Essendo Meili una “nordica doc”, domando quali diversità distinguono i nordici dai meridionali? Orgogliosa esclama che l’altezza e l’onesta della gente si riducono man mano che si scende verso sud… laddove la gente è introversa, poco sincera e pensa solo ad arricchirsi. “Non hai mai sentito parlare della Cina rossa al nord con capitale Beijing, verde nella parte centro-orientale con capitale Shanghai e bianca al sud con capitale Canton?”. No no no no mamma mia anche qui esistono le lotte tra nord e sud! E pensare che Maria sembrava così pacata! (Una visione dei fatti differente me la presenterà Bill, ma di lui parlerò oltre).


IL SUPERMERCATO E’ AD OVEST DELL’UFFICIO POSTALE
Il Cielo sopprime l’inverno, perché gli uomini detestano il freddo.
La Terra cancella la propria estensione, perché gli uomini odiano le grandi distanze.
XUNZI

Dopo la chiacchierata nel parco con Maria, decido di uscire dal Campus per curiosare nel quartiere universitario della città. Sorrido anzi trattengo una spontanea allegra risata quando chiedo la strada per il supermercato più vicino e mi sento rispondere: “cammina verso nord una ventina di metri, poi svolta ad est e sul lato ovest trovi l’entrata occidentale del supermercato”. Certo che voi Cinesi, oltre ad aver inventato la bussola ve ne siete piazzata una nel cervello!
Le indicazioni del passante anche se bizzarre mi portano davvero al supermercato, ove mi trovo catapultata in un mondo dai nomi “manipolati”. Attirano l’attenzione gli articoli occidentali tradotti in caratteri cinesi, come le lattine di kekoukele, vocabolo di quattro caratteri singolarmente privi di significato, ma che letti in successione riproducono il suono cocacola. E’ curiosa anche la lattina dixuebi “neve verde”, la Sprite che per altro anche in inglese ha un bel significato: “folletto, genietto, spiritello”.
Mi perdo negli scaffali a cercare qiaokeli (cioccolato), kafei (caffè), pane per hanbaobao (hamburger), sanmingzhi (sandwich) ed altri oggetti tradotti cercando d’esprimere i concetti delle parole originarie come kouhong (bocca rossa, ovvero rossetto) piuttosto cheniuzaiku (pantaloni da cowboys, cioè jeans). Ma il meglio deve ancora venire, rido di gusto anche quando curioso tra i cd dei Wang(re cioè i Queen) ed i  Damen (grande porta… i Doors).
Come negli Stati Uniti c’è persino la farmacia, ma urla e spintoni riportano presto alla realtà cinese; tra l’altro, la spesa è complicata dal fatto che ogni reparto rilascia un biglietto con il prezzo della merce che va consegnato alla cassa dove si paga prima di ritirarla, ma le code sono disordinate e lente, quindi, dopo aver pagato si ritorna al reparto per restituire il ticket timbrato e ritirare finalmente la merce contribuendo ad aumentare il via vai delle persone e… impiegando interi pomeriggi per fare pochi acquisti!
Nonostante la modernità di alcuni negozi, qualche cassiera nostalgica con poca fiducia nell’elettronica rifà i calcoli con il suan pan, un pallottoliere inventato dai Cinesi nel duecento d.c. e considerato il primo sistema per sommare in modo veloce; tante volte m’hanno spiegato come funziona, ma ancora non mi è chiaro: una colonna è per i kuai, una per i mao ed una per i fen…. (1 mao = 10 fen 1 kuai = 10 mao)… boh!
Con enormi sacchi della spesa torno a casa, ho comprato di tutto, persino il collutorio della Iodosan ed il latte in polvere da sciogliere nell’acqua calda al mattino insieme ai cereali ricchi di fibra e vitamine della Kellogg’s… ma purtroppo non ho trovato né il deodorante né lo struccante per viso ed occhi, Sibille mi dice si trovano solo nel negozio della Lufthansa in centro, dove si comprano anche lacca per capelli ed altri prodotti prettamente occidentali.
Tra le varie cose ho anche acquistato una varietà immensa di tisane da bere la sera prima di coricarmi… alcune sane abitudini italiane non intendo perderle!


I TASSISTI: LO SPECCHIO DI BEIJING
L’integrità (cheng) è la Via del Cielo; aspirare all’integrità (si cheng) è la Via dell’uomo.
MENGZI

Sono a Beijing da un mese e sono felice, talmente felice che ho deciso di posticipare il rientro in Italia di nove mesi. Tornerò definitivamente a casa a metà agosto… invece che a dicembre! Non è da escludersi però che a gennaio, durante il Capodanno Cinese, rientri in patria una settimana, anche per salutare amici e parenti. La mamma invece appena ha avuto la “lieta novella” del mio mancato rientro, si è catapultata in agenzia ed ha preso due voli per Beijing: uno per lei ed uno per mio fratello. “Devo vedere dove hai deciso di vivere figlia mia”, dice, anzi urla al telefono quando le dico che resto in Cina!
Non so cosa questa Cina abbia risvegliato in me, considerando poi che gli aspetti negativi sono di gran lunga più numerosi dei positivi, credo davvero si tratti di un’attrazione inspiegabile! Odio il cibo, le toilettes, gli odori, il traffico e la sporcizia per la strada, gli sputi per terra, le rozze abitudini della gente, l’inquinamento… ma per qualche astruso motivo, io amo la Cina, è non solo perché  vivo qui dall’altra parte del mondo da sola, senza nessuno che mi controlla, non solo perché ogni notte vado a dormire serena e soddisfatta della vita come mai prima d’ora, non solo perché parlare cinese mi fa sentire un’eroina, e non solo perché i cd musicali costano mille lire… no no no no. C’è di più.
Adoro e non potrei vivere senza quel senso di pace e tranquillità che solo la Cina ed il suo Popolo riesce a trasmettermi.
Sì, in queste settimane ciò che inizio ad apprezzare, a parte maneggiare le bacchette come un samurai, è la pazienza, quella virtù imprescindibile del Taoismo secondo cui “il cammino è la vera meta”. La stessa  pazienza che a noi Occidentali troppo sovente manca! Una mattina leggo il titolo d’un articolo sul China Daily “non abbiate fretta…” ed inizio a domandarmi se per i Cinesi stessi sia facile mantenere la calma in una città dove la gente ti cammina sui piedi, sputa ad un centimetro dalla tua scarpa, in coda spinge ed al parco si siede davanti, si toglie le scarpe ed inizia la pulizia tra le dita …!
Eppure in tutti questi mesi non mi è mai capitato di vedere nessun Cinese perdere la pazienza, neppure per strada dove secondo me non c’è filosofia che aiuti a sopportare il traffico, almeno nelle metropoli come Beijing e Shanghai: una giungla d’auto, biciclette, tricicli, taxi, bus, minivan e… migliaia di pedoni che si destreggiano in questo groviglio tappando ogni spazio lasciato libero.
Apprezzo anche i Cinesi perché discutono sempre e solo con le mani dietro la schiena, tenendo uno dei polsi stretto nell’altra mano forse per far capire che nonostante l’ira non passeranno alle vie di fatto. Infatti, si spaventarono un po’ quando un pomeriggio appoggiai le mani sul banco del negozio con atteggiamento adirato, perché per la sesta volta mi avevano venduto un cd non funzionante! Un Cinese non si permetterebbe mai un atteggiamento simile, perché se no “perde la faccia”.
Invidio la calma o la rassegnazione con cui stanno incollati gli uni agli altri, forse difendendosi dalla vicinanza fisica con la lontananza mentale. Ovunque in Cina si è stipati come sardine: in autobus, negozi, uffici postali, teatri e persino per strada. Purtroppo non vanto simile virtù e resisto pochi secondi incastrata nelle loro code, soprattutto quando sfoggiano l’arma letale: “l’alito aglioso”… sfido chiunque a sopportare soffi sul collo all’aglio, colpi di tosse all’aglio, parole all’aglio e sputi all’aglio. Sono una persona molto paziente (almeno così amici e parenti dicono in Italia), ma temo che qui i Cinesi ed orientali in generale mi vedano come una straniera isterica e nevrotica… avranno altri difetti, ma la loro pazienza atavica è disarmante, da invidiare!

Ricordo ancora la prima volta che presi un taxi a Beijing, la seconda se consideriamo il tragitto dall’aereoporto al Campus. Non mi và di andare da sola, perciò chiedo a Vivian d’accompagnarmi a Wangfujing, la via principale della città.
Come Audrey Hepburn in “Breakfast at Tiffany’s” per prendere un taxi basta alzare la mano o fischiare; a volte aspetti mezz’ora, altre basta guardare l’orologio e tre taxi frenano di colpo! I taxi sono tutti “rossi”, spesso modelli anteguerra della Wolkswagen, altrimenti di fabbricazione locale e comunque a quattro posti con una barriera di ferro che rinchiude l’autista in una gabbia. In apparenza sono tutti identici, in realtà si suddividono in classi, quelli di seconda hanno sul finestrino la scritta 1.20 kuai, gli altri 1.60 kuai; quest’ultimi dovrebbero avere sedili più ampi ed aria condizionata, in realtà scompare solo la gabbia (neppure in tutti) e le differenze sono marginali! Qualunque sia il tipo di taxi il costo della corsa è irrisorio per noi Occidentali: si pagano dieci kuai alla partenza (circa mille lire) con i primi tre chilometri gratuiti, poi ogni chilometro aggiuntivo costa un kuai e di notte viene aggiunto un supplemento del venti per cento.
Per i bus invece le differenze sono marcate, quelli di seconda classe risultano inusabili, si rimane stipati come sardine, manca l’aria e c’è sempre qualche Cinese che alita sul collo! Al contrario, quelli per i “vip” sono un vero lusso, aria condizionata, sedili in pelle, televisione e pochi passeggeri, ovviamente!
La Cina detiene il record mondiale d’incidenti stradali, l’ottanta per cento dei quali causati dalle biciclette prive di fanali, dice Vivian. Io stessa nell’arco di nove mesi ho rischiato la vita parecchie volte… !
C’è il ritiro della patente anche per infrazioni minori, ciò nonostante tutti guidano come cani! Le auto private sono comunque poche perché care, per contro bus, taxi e metropolitana sono economici. Quindi le strade sono in mano ai quei pirati dei tassisti che, dopo tutto, sono gli eroi di questo traffico infernale! Vittime o carnefici?! Conducono i loro bolidi senza schivare buche o passanti, limitandosi all’uso sfrenato del clacson ed inchiodando all’ultimo prima di spalmare qualcuno sull’asfalto. Ecco la sinfonia di Beijing: un sovrapporsi di clacson, scampanellamenti e vociare della marea umana che invade le strade.

Nell’arco di questi mesi mi muoverò perlopiù in taxi, più comodo e divertente perché posso esercitare il cinese con il conducente scoprendo aspetti del Paese a me ancora ignoti.
Potrei davvero scrivere un altro libro elencando le disavventure vissute a bordo di questi bolidi rossi…!
è autunno, la mamma e Jic, mio fratellino, sono a Beijing per una settimana, siamo s’un taxi da 1.60 (la mamma ama il lusso!); l’autista scorbutico prima ci fa morire di caldo, poi attacca l’aria condizionata al massimo incurante delle nostre proteste. Non serve adirarsi con i Pechinesi, ti fissano con espressione assente, sembrano non capire e non è colpa del mio cinese, fa parte del loro DNA, meglio prenderla con filosofia attenendosi al detto Taoista “l’uomo saggio dev’essere flessibile come il giunco, è inutile far resistenza contro il vento”; dunque, flessibili come giunchi, la mamma, Jic ed io sorridiamo quando stridono i freni, il tassista scende e… “duibuqi, scusate, devo andare in bagno”… e se ne va con mille inchini e sorrisini!
Se alcuni tassisti sono pazzi o in gergo quexinyan (“privi dell’occhio del cuore”), altri sono odiosi. Per esempio, una sera io e Sibille cambiamo tre taxi prima di trovarne uno che ci porti all’Università; infatti, se il tragitto è lungo alcuni lo rifiutano perché guadagnano di più facendo corse brevi! Sono pazienti i Cinesi, ma a volte davvero insopportabili!
Una volta però ho trovato un tassista che faceva tenerezza: poverino riuscì a tamponare un bus stando in coda! Osservai il pover’uomo che piangendo stimava i danni, non sapeva letteralmente guidare ed era da bastonare, ma faceva una pena infinita, forse era un papà che a stento sfamava la famiglia; non sapevo nulla di quel signore dagli occhi tristi e la voce fioca, ma scendendo lasciai sul cruscotto trenta kuai, tre volte il prezzo della corsa che non voleva.
Come accennato prima, mi piace chiacchierare con i tassisti, sono lo specchio della città e coloro che meglio conoscono lo spirito occidentale, già, chi più di loro parla con noi forestieri… ovviamente quelli che sanno il mandarino?!
Come me, anche loro sono curiosi e vogliono conoscere l’Occidente, non si limitano a fare domande sul tempo, ma accennano ad argomentazioni più complesse come famiglia, denaro, cibo, emozioni, cultura…
Qualche tassista viene dalla campagna. Un pomeriggio fermo una donna, salgo e mostro i caratteri del luogo dove andare, ma la tassista, scuotendo la testa dice: “dimmi a voce dove vuoi essere portata, non so leggere gli ideogrammi”; sconcertata le dico dove andare ed ascolto la sua storia. “Sono della Provincia Ningxia, non ho studiato perché la famiglia non aveva denaro sufficiente per pagare la scuola ad entrambi i figli e mio fratello ne aveva diritto, mentre io sono solo una femmina… ma quando avrò risparmiato voglio ugualmente imparare a leggere e scrivere!”. Malgrado la massima di Mao “le donne sono l’altra metà del cielo”, la Cina è ancora lontana dall’uguaglianza dei sessi. A tale proposito apprendo dai libri che fino all’epoca Yuan, le sole donne a cui era concesso studiare erano le cortigiane e le cantanti, imparavano i rudimenti della lettura e della scrittura come parte della preparazione professionale; poca attenzione era rivolta all’educazione letteraria delle fanciulle che si riteneva sufficiente sapessero compiacere il marito a letto, prendersi cura dei figli e sbrigare le faccende domestiche. I Cinesi sono pazienti, sì ma anche terribilmente maschilisti!
Con i tassisti meglio non parlare di politica però: è un campo minato! “Di politica è vietato parlare tra Cinesi, ancor più con gli stranieri!”. risponde seccamente uno di loro quando domando se il Popolo ama l’attuale Presidente Jiang Zemin.
Siccome amo il rischio, un giorno fingo d’essere di Los Angeles, non l’avessi mai fatto! Lo shifu (tassista) sbotta: “America buhao no bene”. Lo sapevo, ma avevo bisogno d’una conferma, troppe brutte faccende li hanno divisi e nulla li riunirà ancora per un bel po’. Il Vietnam, il caso Taiwan, il bombardamento per errore dell’ambasciata cinese a Belgrado nel novantanove e l’incidente di Hainan nel 2001 quando un aereo spia americano entra in collisione con un caccia cinese sui cieli dell’isola del Mar cinese meridionale, l’equipaggio americano è tenuto in ostaggio fino a quando Bush chiede ufficialmente scusa per l’accaduto e scrive una lettera di cordoglio alla moglie del pilota cinese deceduto… sono in Cina quando ciò accade.
Anche se pochi hanno il coraggio d’ammetterlo, tutti i Cinesi salvo rare eccezioni detestano i Giapponesi… e meno male, sarebbe lo sfacelo per l’Occidente se le due perle d’Oriente andassero d’accordo! A parte gli scontri cino-giapponesi del passato e la cooperazione militare nippo-americana, potenziali contrasti possono emergere a causa dell’inquinamento cinese che minaccia l’aria del Sol Levante e delle dispute territoriali per le isole Spartly nel Mar cinese meridionale. Xiao dice che le tensioni intorno a queste isole (contese tra Cina, Giappone, Taiwan, Malesia, Filippine e Brunei) sono aumentate soprattutto in seguito alla scoperta di giacimenti petroliferi!

Non mi va giù, perché non parlare di politica? Di natura non sono una che si dà per vinta facilmente ed infatti infrango la regola discutendone con l’anziana Li laoshi (professoressa) che dopo le mie insistenze ricorda la partecipazione alla Gioventù Maoista (anni trenta e quaranta), “…diventarne membro non era facile, bisognava esserne degni e si veniva accettati solo dopo anni dalla richiesta… fino alla morte di Mao (nel settantasei) il Partito Comunista PCC era tutto per i Cinesi, rappresentava famiglia, lavoro, religione, tempo libero… pensa che da piccola prima d’addormentarmi leggevo le Opere di Mao Zedong e quando andavo a teatro le rappresentazioni erano di genere politico, la mia preferita era quella che trattava l’eroica resistenza dell’Armata Rossa contro l’invasione giapponese”.
Il fatto che uomini, donne e bambini dovessero indossare l’abito maoista, che tra l’altro fu introdotto non da Mao ma dal Presidente Sun Yatsen, rattristava Li laoshi che però condivideva il rispetto delle “cinque regole”: studiare le opere di Mao, compiere bene il proprio lavoro, amare ed aiutare gli altri, studiare le difficoltà della produzione e proporre miglioramenti pur seguendo bene gli ordini.
I Cinesi ancor oggi impazziscono per Mao, lo amano più d’un dio e hanno fede in slogan come “la modestia fortifica, la presunzione indebolisce”, ammette a malincuore Xiao ricordando l’antica storiella di Yukong, il vecchio della montagna. Un vecchio aveva una montagna proprio davanti alla porta di casa, esasperato da quell’ingombro si mise in testa di spostarla con piccone e badile, impiegò tutta la vita, ma ci riuscì. Il mito del vegliardo dalla volontà di ferro viene  ripreso dall’iconografia maoista per simboleggiare che nulla è impossibile per un Cinese! Non avrebbe fatto prima a spostare la casa? Pazienti sì, ma definirei questi Cinesi anche alquanto megalomani!
Sebbene il Popolo continui ad idealizzare Mao, Xiao mi rincuora: “noi Cinesi del nuovo millennio godiamo di maggiore libertà, possiamo arricchirci, comprare auto, condurre una vita autonoma e non da suddito del Partito!”.
Xiao, il fidanzato di Sarah che ha vissuto a lungo in Francia, è un animo ribelle e per questo forse che affascina tanto noi laowai, ci svela una Cina diversa, nuova rispetto a quella descritta nei libri e dai Cinesi comuni, quali Vivian o Maria per esempio.
Xiao più di una volta ripete che il punto è questo: libertà ed individuo qui non hanno mai contato nulla, l’individuo non esiste in quanto tale, ma come elemento d’un gruppo. Basta sfogliare i libri di storia per rendersi conto che il popolo era diviso in sei gruppi che davano a loro volta vita a tre “sotto gruppi”: operai e contadini, città e campagna, lavoratori ed intellettuali.
Ma allora Malini, ancora una volta, sei sicura di voler vivere in un Paese dove non esiste il singolo individuo? Puoi illuderti che la Cina stia cambiando, che il progresso cambi la faccia delle città, che i lavoratori si trasformino in imprenditori, ma ricorda che cinquemila anni di storia e di comunismo non si cancellano, quanto meno, non in poco tempo!


LAVORI DA STRADA E D’OGNI TIPO, MA SENZA STRESS
Il saggio non si preoccupa per il futuro, perché non è ancora venuto…e non si cruccia per il passato, perché non si può mutare.
PROVERBIO CINESE

Grazie ai racconti di Vivian, Xiao ed altri nuovi amici cinesi, inizio ad osservare in modo abbastanza concreto ed oggettivo i Cinesi.
Per esempio mi rendo conto che qui si cerca di dare lavoro a tutti e pur di guadagnare qualche soldo, i Cinesi sono disposti a schiacciare tasti negli ascensori pubblici, fare gli spazzini nelle discoteche tra le gambe della gente, pulire gabinetti ogni volta che esce qualcuno…
Nonostante gli sforzi la disoccupazione esiste, soprattutto per i contadini in cerca di fortuna nelle città e gli ex dipendenti delle imprese statali che, chiuse di recente, promettevano posti di lavoro e salari fino alla pensione (sessant’anni per gli uomini e cinquantacinque per le donne). Molti Cinesi tra i quaranta e cinquant’anni oggi hanno spesso un livello di educazione molto basso perché vissuti durante la Rivoluzione Culturale (1966-76), riforma lanciata da Mao che tentò d’avvicinare intellettuali e studenti al lavoro manuale.
Secondo Xiao, il vero problema sono le condizioni di lavoro, inaccettabili in qualsiasi paese occidentale. A parte irrisori stipendi mensili di massimo cento dollari, straordinari obbligatori non retribuiti, insufficienti indennità di licenziamento, divieto di scioperare… ciò che più preoccupa è la mancanza di misure di sicurezza, soprattutto nell’industria estrattiva dove frequenti sono gli incidenti mortali e molti i deceduti di cancro per l’eccesso di polveri nelle miniere.
Anche se non bisognerebbe pensarlo, credo che la vera ricchezza del Paese sia l’abbondante manodopera a basso costo che permette di tenere aperti ristoranti e cantieri ventiquattro ore su ventiquattro… infatti in questi anni, molti si “trasformano” da contadini in muratori demolendo giorno e notte vecchie costruzioni per crearne di nuove, sono loro gli eroi del nuovo millennio che spaccandosi la schiena con zappa e carriola (ancora rare le macchine movimento terra) innalzano la Nuova Cina per un misero stipendio di cinquanta kuai al giorno. Con questo stipendio in Italia non sopravvivi, qui addirittura risparmi: un kuai per mangiare, dieci kuai per dormire e per i trasporti usi la bicicletta. Già, le famose biciclette cinesi, come un esercito invincibile sfidano neve, vento, pioggia e cos’altro viene giù dal cielo, alcuni tengono una mano sul manubrio mentre con l’altra reggono l’ombrello, altri si coprono i piedi con sacchetti di plastica per proteggersi dagli schizzi delle pozzanghere!
La bicicletta è come per noi il cellulare, tutti ne hanno una perché un’auto privata è troppo cara, anche se quelle di produzione locale costano comunque un quarto delle nostre e la benzina un sesto… ma restano care, se rapportate ai loro stipendi che sono un decimo dei nostri! Accarezzando la bicicletta scassata, Xiao un pomeriggio sospira: “in epoca maoista era vietato comprare un’auto, si poteva solo affittarla, erano vietati pure i film americani perché diseducativi! Le cose cambiarono dopo la salita al potere di Deng Xiaoping (morto nel ‘97) che, col programma delle quattro modernizzazioni (industria, agricoltura, difesa, scienza), ordinò a tutti d’arricchirsi e quindi di comprare automobili”.
Per essere cinese a tutti gli effetti, compro una bicicletta anch’io. A novembre prego Vivian d’accompagnarmi, giriamo qualche negozio e contrattando ne compro una da cinquanta kuai; dopodiché, anche se i freni non funzionano ed il manubrio pende a destra, soddisfatta e con una mascherina anti-smog, m’immergo nel traffico realizzando che segnaletica e semafori non costituiscono divieti od ordini, bensì indicazioni rispettabili a seconda della volontà di ciascuno; di conseguenza nelle strade vige il caos e solo quando la situazione si fa critica saltano fuori i vigili urbani che impartiscono ordini con goffi gesti marziali.
In sella al mio bolide, mezzo scassato anche se nuovo di pacca, noto la quantità esorbitante di gente che sosta agli angoli delle strade ed accovacciata sui talloni legge il giornale, ingurgita zuppe maleodoranti o sonnecchia.
Ma i più curiosi sono i lavoratori ambulanti, come per esempio i barbieri che tagliano capelli nel bel mezzo d’una via. C’è naturalmente anche chi chiede la carità, ma in modo “decoroso”: nel Parco della Cultura di Canton sentirò un’anziana donna cantare arie dell’Opera di Pechino per raggranellare qualche soldo. Anche a Shanghai stupisco quando ogni domenica il Bund di Shanghai si trasforma in palestra di taijiquan, sala da ballo e centro massaggi.
I Cinesi sono grandi lavoratori , ma per ora non pare siano stressati da lavoro ed impegni… la loro pazienza evidentemente li aiuta!
Sono così rilassati che un pomeriggio, vedo la cassiera d’un supermercato smettere di battere per osservare la manovra d’un camion che, in difficoltà nella strada attigua, rumoreggia tentando di superare una strettoia, anche i clienti scordano la fila e guardano l’evento dalle vetrine, alcuni cercano d’aiutare l’autista con cenni, ma il resto del pubblico, che in breve si fa folto, guarda semplicemente! Sarà conseguenza della proverbiale flemma cinese di fronte alle emergenze o dell’animo bambino che prova stupore per piccoli eventi, comunque è segno che non sono stressati e soprattutto ancora una volta sono pazienti!
Se la pazienza è qualità intrinseca di questa società, sveltezza mentale ed originalità non sono proprie di questa gente, priva di idee proprie!


IL BON TON
Il panno che cade nell’inchiostro rosso diventa rosso,
quello che cade nell’inchiostro nero diventa nero.
PROVERBIO CINESE

Sono in Cina da settimane e nolente o volente scopro sempre più questo strambo Popolo dell’est… hanno denti gialli perché bevono troppo tè e fumano come ciminiere, hanno capelli neri a cent’anni per DNA, indicano la propria persona toccandosi il naso, fanno le corna per indicare, possono contare con una mano fino a dieci, portano la ciotola alle labbra ingoiando riso in quantità e, non ultimo, anche se appaiono un po’ grezzi, hanno regole di Bon Ton!
Ma come parlare di Bon Ton con tipi che digeriscono, sputano dove e quando capita ed hanno toilettes senza carta igienica nè porte divisorie?
A parte il fatto che digerire sonoramente è il modo migliore per comunicare d’aver gradito il cibo ed espettorare sovente è indice di pulizia corporea (secondo loro!), comunque anche in Cina esiste il Bon Ton, almeno così dice Vivian. Spesso vedo Cinesi aprire la porta alle donne, aiutarle a togliersi il cappotto, riempir loro i bicchieri ed all’uscita dei negozi i mariti si caricano dei pacchi, mentre le mogli camminano scodinzolando e facendo ondeggiare le pochettes.
Vivian dice che a tavola bisogna accettare sempre quanto offerto, un rifiuto è un affronto grave; per esempio, un giorno Vivian m’offre un dolcetto dall’odore ripugnate, vorrei rifiutare ma lo addento e cerco d’ingoiarlo senza fare smorfie anzi fingendo di gustarlo… Sempre a tavola, lasciare qualcosa nel piatto significa che il cibo è stato abbondante, mentre ovunque ed in qualunque occasione si fanno inchini a novanta gradi e sorrisi a trentadue denti. Complesso è il cerimoniale del commiato da un ospite, innanzi tutto lo si prega di restare ancora offrendo altro tè e bombardandolo di dolci, poi quando finalmente si va alla porta lo si accompagna per un tratto di strada. Curioso è anche il modo di porgere con entrambe le mani biglietti da visita, banconote o qualsiasi oggetto, facendo bene attenzione a non toccare le mani altrui, forse perché non le lavano mai, neanche prima di sedersi a tavola…

Sara, Italiana che lavora e vive a Beijing dall’ottantacinque, è la persona che più mi aiuta ad analizzare gli usi e costumi dei Cinesi, confrontandoli ai nostri.
Con Sara  parliamo delle consuetudini cinesi che ormai conosce bene, ma soprattutto commentiamo questa vita inaspettata che ci ha insegnato a “volare” e della difficoltà di tornare a “camminare” quando si rientra in Italia… forse siamo affette dal “mal di Cina”. Ho ancora in mente le sue parole: “anch’io appena arrivata in Cina m’entusiasmavo per tutto, credevo d’aver trovato il paradiso, poi gli anni passano e l’Italia manca”; cerco di spiegarle che non sono ancora in questa fase, anzi pur partendo tra sei mesi, ho il terrore della quotidianità italiana. Con dolcezza continua: “preparati, sarà duro tornare dopo nove mesi di Cina, nessuno ti capirà e non capirai nessuno, in realtà gli altri saranno quelli d’un tempo, sarai tu diversa, sarai una laowai nel tuo Paese, poi ti riabituerai, ma le radici cinesi t’avranno afferrata e la Cina diverrà un… “mal di Cina”, un lontano ricordo, solo tuo, per sempre, non lo potrai condividere con nessun altro, nemmeno con chi t’ama”.
Sara racconta com’era Beijing vent’anni fa: “cara mia, Beijing cambia in modo impressionante, stranieri, alberghi e discoteche erano rari, le macchine private ed i viaggi di piacere erano concetti inquinati dal capitalismo, alle nove di sera i ristoranti chiudevano ed ibus si fermavano perché i Cinesi andavano a dormire presto per alzarsi all’alba, lavoravano almeno quarantotto ore la settimana e come svago guardavano il film proiettato dalla danwei (unità di lavoro che forniva casa, cure, educazione, svaghi….). Ma oggi si lavora meno, s’indossano abiti d’importazione ed orologi (un lusso fino a poco tempo fa) e si parla di cellulari, internet, carte di credito, traffico e… denaro! Negli anni Ottanta i Giapponesi si riconoscevano per le macchine fotografiche penzolanti dal collo, oggi anche i Cinesi hanno macchine ultra moderne e scattano foto ovunque”.
Perché Cina perdi rapidamente le tradizioni che ti rendono magica? Sara è una maoista sfegatata, è adirata con i teen-ager di oggi che non ricordano quanto Mao confidasse in loro e nelle loro potenzialità, un tempo i giovani pensavano solo alla scuola, ora sognano viaggi, prestigiose Università, un lavoro che prometta affari e parlano troppo spesso di denaro… difetto che in effetti riscontro sovente in Xiao che certo non si può definire un seguace di Mao, anzi lo detesta! Sara è dibattuta: “non so se augurare alla Cina di progredire diventando più simile al resto del mondo, oppure tornare ai tempi del fervore rivoluzionario, quando la “ciotola di ferro” garantiva a tutti un minimo vitale qualunque fosse il lavoro svolto, perché il lavoro era appunto garantito a vita ed i salari non regolati da professionalità e qualità”.
Personalmente anch’io come Sara sono alquanto dibattuta, non sono comunista ma ammetto che se da una parte la corsa al progresso affascina, dall’altra spaventa, io stessa in pochi mesi vedo Beijing cambiare! Cina quanto ancora resisterai in bilico tra due mondi? Cina ti amo e ti odio, amo le tue tradizioni, odio il tuo modo di copiare l’Occidente, senza sapere che cosa copi; prendiamo ad esempio l’abito da sposa, in Cina è sempre stato rosso, perché ora è bianco (tinta che qui simboleggia la morte)? Sapete che il bianco da noi simboleggia verginità/purezza o vestite le spose di bianco tanto per emulare noi barbari? Lo stesso vale per noi, perché amiamo la ginnastica yoga, dormiamo nei futon giapponesi, mangiamo tempura, arrediamo le case secondo il fengshui o abbracciamo nuove religioni? Per moda? Forse…

LE DONNE SONO L’ALTRA META’ DEL CIELO
Le rocce stanno dove stanno, questa è la loro volontà. I fiumi scorrono, questa è la loro volontà. Gli uccelli volano, questa è la loro volontà. Le stagioni mutano, il cielo manda pioggia o neve, la terra di tanto in tanto trema, le onde s’accavallano, le stelle brillano, ciascuna di queste cose segue la propria volontà. Essere è volere e pertanto è divenire.
DAISETZ TEITARIO SUZUKI (studioso laico di Zen)

Per fortuna in Cina non si parla ancora degli “incidenti del sabato sera”, troppo poche sono le auto private, i giovani perlopiù si spostano in taxi o bus, anche i benestanti.
I miei coetanei cinesi sono poco “discotecari” e preferiscono trascorrere le serate ubriacandosi pesantemente giocando a carte,ping-pong, scacchi e cantando al karaoke… ma a Beijing e Shanghai i Cinesi hanno creato per noi laowai discoteche paradisiache, economiche e perlopiù concentrate a Sanlitun, quartiere per stranieri, dove un tempo i Cinesi non potevano entrare senza lasciapassare. Davvero bizzarra questa Cina, pur odiando l’America, la copia in tutto: musica, locali, moda, cibo… costruendo a più non posso Hard Rock café, Mac Donald’s, Pizza Hut, Starbucks Cafè, KFC… e non dimentichiamo l’interesse per i film di Hollywood e la National Basketball Association (NBA).
Io sono un’amante delle discoteche e con Josh e gli altri amici almeno due o tre volte la settimana desidero “scatenarmi” nei locali notturni della capitale, come il Dan, Vics, Suzie Wong, Orange, Rainbow, Durty Nelly’s… cosa colpisce è il numero esorbitante di ragazze cinesi che frequentano i locali per stranieri; i Cinesi di sesso maschile sono pochi, Xiao dice che sanno di non reggere il paragone con i bei maschioni occidentali eheh!
Le fanciulle cinesi di Sanlitun non sono certo “tradizionali” come Vivian che, dapprima sottomesse ai genitori poi al marito, credono nel detto: “gli uomini sono come le montagne che conoscono il terreno sotto i piedi e gli alberi sui fianchi, mentre le donne sono come l’acqua, la sorgente della vita che s’adatta all’ambiente in cui si trova”.
Le fanciulle che frequentano i locali di Sanlitun hanno un unico obiettivo: sposare un ricco occidentale per andare all’estero, far shopping a Manhattan, Rodeo Drive, Les Champs Elysees… sono riconoscibili dalla pelle bianca e vellutata, dai rossetti color fuoco, dal fisico statuario in eccentrici stivali, mini-gonne ed abiti scollati. Queste non vanno però confuse con le figlie dei fiori (prostitute) che anni fa intrattenevano i clienti nelle case dei fiori, fumerie d’oppio e sale d’azzardo; queste ragazze sono semplici studentesse che “saltano addosso” agli occidentali per gioco sperando di finire all’altare, ragazze che piacciono ai “machi” stranieri sensibili alla dolcezza ed alla sensazione di potere s’una donna che diventa “oggetto”. I Cinesi, che hanno un proverbio per tutto, sentenziano: “nan de bu huai, nu de bu hai” traducibile con “le donne amano i cattivi”.
Questo vale anche in Italia dove “l’amor vince chi fugge”! Personalmente adoro gli uomini con cui c’è sfida; col caratterino deciso, estroverso e frizzante che mi ritrovo, i ragazzi sdolcinati e “zerbino” non fanno per me! Infatti, ciò che mi garba in Josh, pur non amandolo, è la capacità di sorpendermi, baciarmi ogni volta come fosse la prima, non essere possessivo né lascivo, con quel pizzico di gelosia che affascina e quella dolcezza disarmante che conquista senza cadere nell’eccesso! Di lui non m’innamorerò davvero perché una barriera socio-culturale ci divide, ciò nonostante considero Josh il mio primo vero uomo.
Non tutti sono d’accordo sul concetto di donna cinese “schiava”. Il nepalese Rey per esempio sostiene il contrario: “si deve sfatare questo mito, le Cinesi sono delle serpi, una volta raggiunto il matrimonio cambiano (come da noi!); figurati che a Shanghai non esiste la divisione dei beni, anzi il conto in banca è spesso intestato alla moglie, addio famiglia patriarcale, ora le donne possono persino fare carriera”. Anche in Giappone è così, chi comanda in famiglia è la donna che non solo gestisce le finanze, ma decide quando il marito deve andare dal barbiere, quando cambiare auto, dove iscrivere i figli a scuola… inoltre i Cinesi dicono: meglio prendere una puttana per moglie, piuttosto che sposare una donna che poi diventa puttana!
Ecco perché Rey si diverte con le prostitute professioniste che non lavorano in strada ma in locali particolari, affollati soprattutto da Occidentali in cerca d’avventure un po’ costose… un incontro costa ottocento kuai! Ben più numerosi comunque sono i gigolò per signore, perché evidentemente sono molte le donne orientali che hanno bisogno d’attenzioni…!
Rey m’informa che anche in Cina ci sono i “travestiti”, in genere bambini tailandesi che per pochi soldi finiscono nel mondo della pornografia e degli spogliarelli. Rey sorride: “quando andrai a Kunming le vedrai. Là vivono le migliori, non diresti che sono uomini, sono talmente belle che per una foto con loro paghi cento kuai“.
Trovo inammissibili anche le baoernai, specie di prostitute d’alto borgo. Maurice, ragazzo africano del Benin, spiega che molti benestanti hanno una moglie ufficiale ed una momentanea, la baoernai appunto, in genere una ventenne che in cambio d’affettuosità riceve alloggio, vestiti, gioielli e finanziamento degli studi. Ovviamente, aggiunge Maurice, essendo giovani ed affascinanti, queste ragazze hanno anche un partner coetaneo… gratis!

Con altre “sfumature”, spiegano Fujiko di Osaka e Noami di Seul, anche in Giappone ed in Corea le donne vivono al servizio dell’uomo, badano a prole e casa, arrossiscono quando qualcuno si rivolge loro e svengono se intravedono un torace soprattutto se di uno straniero… gli orientali non hanno peli!
Noami spiega anche le differenze dal punto di vista dei lineamenti tra Coreani, Giapponesi e Cinesi: i Coreani hanno viso tondo, occhi grandi e naso schiacciato stile africano, mentre gli occhi dei Giapponesi sono piccole fessure ed i Cinesi hanno viso spigoloso e naso pronunciato, ma la vera differenza sta tra le orecchie: nel cervello.
Noami (nata a Seoul, ma fuggita in Cina tre anni fa per imparare il cantonese) è l’unica amica coreana che ho e pure lei non sopporta le connazionali che ridono coprendosi la bocca con la mano, perché in Corea ci si vergogna a mostrare i denti. Anche l’abbigliamento svela complessi: pantaloni e magliette extra large mascherano i chili di troppo, mentre i visini bianco-latte (usano il cerone) vengono celati da capellini con visiera. Il bianco, spiega Noami, simboleggia purezza e le Coreane, tutte Cattoliche, intendono arrivare vergini all’altare.
In Giappone, sostiene invece Fujiko, la donna deve essere sempre impeccabile in trucco, abito e profumo, figuratevi che si sveglia mezz’ora prima dello sposo per prepararsi… il marito non deve vedere la moglie struccata, spettinata e con i denti da pulire! Perciò domanda come mai non mi trucco, “perché poi mi devo struccare e non ho tempo” rispondo, ma lei ribatte: “la ricchezza delle donne è la bellezza, quindi bisogna averne cura”, annuisco, dopo tutto non è colpa sua, è una brava ragazza, ma con qualche limite!
E le geishe esistono ancora? Yoshiaki, un amico giapponese, dice che ormai han perso il fascino d’un tempo quando, comprate all’età di sei o sette anni dalle padrone delle case da tè, venivano educate per intrattenere i clienti; la loro reputazione più che sulla bellezza, si basava sul talento artistico e sulla vivacità della conversazione, non a caso infatti geisha significa artista.
Voglio scoprire quale sarebbe stata oggi la mia sorte se fossi nata in Giappone e domando: “le donne possono lavorare o devono restare a casa con la prole?”, Yoshiaki risponde spiegando che nel suo ufficio ci sono tre donne senza figli, semplici impiegate con occhi truccati alla perfezione e corpi sottili avvolti in capi firmati, le chiamano le office ladies, sono lo stereotipo della donna giapponese emancipata, gli ammirati “fiori d’ufficio” come vengono poeticamente definite. Qual è la loro funzione? Sono pagate per piccoli lavoretti, studiano a memoria il manuale delle buone maniere, l’ikebana (l’arte di disporre i fiori), come servire il tè, chiedere scusa, ringraziare ed inchinarsi… un fiore d’ufficio che si inchina anche quando risponde al telefono! Vedendo la mia espressione rincara la dose: “mei banfa non potrebbe essere altrimenti: infatti, in Giappone non esistono imprenditori, politici o dottori affermati del gentil sesso e se ci sono i loro stipendi sono il cinquanta per cento inferiori a quelli dei colleghi maschi e poi una donna deve badare a casa, bambini, marito, genitori…” Indignata, faccio presente che dalle nostre parti molti dottori e presidenti d’azienda sono donne, hanno una famiglia e vivono felici. “Ma voi donne laowai (gaijin in giapponese) siete diverse, più forti, non avete bisogno del sostegno maschile, al massimo sono gli uomini a non saper vivere senza di voi, non piangete mai e sapete quello che volete, basta guardarvi negli occhi per capirlo!”. Chiudo gli occhi e mi domando dove e come sarò tra vent’anni… spero sposata con l’uomo giusto con due o tre figli ed un lavoro da libera professionista che mi permetta di viaggiare qualche volta e sfruttare il mandarino che sto apprendendo con fatica. Dove vivrò? Cina, Italia, Australia, America, Africa… una volta trovato l’amore il cielo sotto cui vivrò sarà di marginale importanza, perché la mia vita saranno loro: i miei figli ed il mio compagno! Aiuto, starò mica diventando una patetica sentimentale? 


UNA COPPIA UN FIGLIO
Volendo gestire il regno occorre prima saper gestire la propria famiglia.
CONFUCIO

Sto correndo sul tapis-roulant della palestra del Campus quando arriva Stone, un bel trentaquattrenne australiano sposato con una cinese e padre da sei anni. Quando gli chiedo come si trova in Cina si lamenta della famiglia di abitudini e cultura diversa… racconta che ha conosciuto Xu anni fa in un club di Beijing, dopo qualche tempo Xu è rimasta incinta e si sono sposati, ma con la nascita di Mike sono sorti i problemi perché Xu voleva allevarlo “alla cinese”, in altre parole il padre doveva lavorare, la madre riposare ed i nonni prendersi cura del bebè. “…non potevo giocare, cambiare il pannolino, fare il bagnetto a mio figlio, ma dopo qualche tempo abbiamo trovato un compromesso, Xu ha iniziato a badare alla casa, mentre i nonni m’hanno lasciato più spazio con Mike, ciò nonostante le preoccupazioni continuano perché il bambino cresce senza autostima, come una statua scolpita dalla madre che lo vizia, gli toglie la libertà intellettuale e non l’ha mandato all’asilo per timore s’ammalasse… ora non lotto più ed accetto la situazione, perché gli voglio un gran bene ed ho solo lui”.
Ma non tutti i bambini sono come Mike, anzi i figli unici della nuova generazione sono infelici e soffocati da mille pressioni. Anping per esempio, il figlio tredicenne di Chen laoshi, resta a scuola dal mattino fino alle quattro del pomeriggio, quando sfinito torna a casa per svolgere i compiti fino a sera e studiare pianoforte ed inglese; non riposa neanche durante le vacanze estive (otto settimane da metà luglio a fine agosto) ed invernali (quattro settimane di solito a gennaio e febbraio) quando studia, sostiene esami d’inglese e fa le competizioni di pianoforte… “non come voi laowai che sciate a Natale, sguazzate nel mare d’estate e viaggiate appena avete vacanza!” ironizza Chen laoshi. Vivian concorda: “dobbiamo impegnarci per non far perdere la faccia ai nostri genitori. Sai la scuola costa ed essere bocciati costa ancor di più… una mia compagna s’è tolta la vita perché respinta al test d’ingresso della facoltà di medicina!”. Quasi come al Sol Levante dove, spiega Hiroshi, se uno studente viene bocciato più volte, non potrà laurearsi e quindi ambire a professioni ben retribuite; allo stesso modo nel lavoro, se il capo sbaglia viene degradato ad operaio, ma se è quest’ultimo ad errare verrà licenziato all’istante e mai più assunto in nessun luogo. Tokio non a caso è la città con più suicidi al mondo!
E’ forse un bene che i figli unici cinesi assumino fin da piccoli responsabilità più grandi di loro o sarebbe meglio vivessero tutti nella sfera di cristallo come Mike? Il giusto sta sempre nel mezzo,  lo sostenne persino il saggio Confucio ne “Il Costante Mezzo”.
Mao Zedong fu contrario al controllo delle nascite, “più gente vuol dire più idee, più entusiasmo, più energie”. Per contro, se i Cinesi aumentassero ancora, spiega il mio amico Xiaoping, la catastrofe sarebbe inevitabile perché sfamare ed istruire più bambini dissanguerebbe lo Stato e la superficie coltivabile non sarebbe sufficiente, pur aumentando il rendimento del terreno.
Il controllo delle nascite porta anche a frequenti casi d’infanticidio femminile ed allo squilibrio tra uomini e donne, tanto che il tasso di natalità maschile cresce sensibilmente e già venti milioni di giovani uomini non riusciranno a sposarsi. E poi un figlio maschio è un’assicurazione per la vecchiaia, quando si sposa rimane nella casa con la moglie, mentre i genitori della sposa rimangono soli, ma se continua così tra qualche anno non ci saranno donne a sufficienza e parecchi uomini invecchieranno comunque in solitudine!
Fino a poco tempo fa, le danwei (unità di lavoro) tenevano il calendario delle mestruazioni per pianificare i turni di gravidanza e controllare quelle illegittime; oggi si chiude un occhio per uomini in seconde nozze e si può avere un secondogenito se il primo è vittima di handicap, è stato adottato o per incrementare la manodopera nelle campagne. Resto incredula quando Xiaoping mi dice che chi ha denaro può comprare la nascita di ulteriori figli… cinquemila kuai per un secondogenito, diecimila yuan per un terzogenito!
“Quest’anno il Congresso del Popolo ha varato una legge sulla politica familiare con meno penalità e più contraccettivi” aggiunge Xiaoping, mentre a me viene da ridere perché considerando i trecentomila casi di HIV ed i numerosi aborti, non mi sembra che i preservativi riscuotano successo. I contraccettivi orali come la pillola per esempio sono ancora sconosciuti.

A malincuore scopro che l’aborto è il metodo più diffuso per evitare la nascita del secondo figlio, sovente è accompagnato da incentivi come salari più alti, case più spaziose e le donne che interrompono volontariamente la gravidanza ricevono persino una vacanza gratuita dallo Stato! Cosa? Allora uccidere il proprio figlio è una vincita al lotto, mentre chi vuole tenere il bambino non ha scampo, è costretto ad interrompere la gravidanza persino con la violenza! No No No No Cina non puoi farmi questo, ti amo ma a volte davvero proprio mi deludi!!! Aborto? Ma stiamo parlando di ammazzare un essere umano, non siete cattolici e va bene, ma come potete incoraggiare omicidi dei vostri figli?
In preda all’ira leggo alcune righe tratte da vari scritti che testimoniano quanto l’aborto o la soppressione di bambini sia una realtà quotidiana: “una giovane donna affoga i suoi bambini in un laghetto di Canton per risposarsi e riavere il diritto al primo figlio col nuovo marito…. una contadina dello Shandong che sta per partorire implora la levatrice di soffocare il neonato nel caso si tratti d’una bambina, così il marito non la riempirà di botte e potrà riprovare a dargli un maschio… i contadini hanno preso l’abitudine di tenere un secchio d’acqua accanto al letto delle partorienti, così fanno presto ad affogarvi il neonato se femmina… un gruppo di donne incinte di otto mesi vengono arrestate, ammanettate, fatte salire su dei camion e portate fra urla e pianti ad abortire…. nelle campagne le donne che hanno avuto il terzo figlio vengono sterilizzate e togliere le spirali è diventato uno dei lavori con cui i medicastri s’arricchiscono!”.
Non ho parole.
Non finisce qui. La mia amica Liuliu è stata costretta anni fa dal marito e dal governo ad interrompere la prima gravidanza perché suo figlio sarebbe nato disabile. La povera Liuliu si confida con me e Sibille: “all’inizio non riuscivo a riprendermi dallo shock, volevo togliermi la vita perché mi sentivo terribilmente in colpa, poi ho deciso di lottare. Da ormai cinque anni, ogni giorno mi reco un paio d’ore in un ospedale per bambini disabili. Li aiuto a lavarsi, vestirsi e divertirsi. Non sapete quanto ciò mi renda felice, aiuta più me che loro, perché in quei visini io rivedo mio figlio, quel figlio che mi è stato negato”. Sibille che durante la guerra con la madre è stata volontaria negli ospedali, sorride ed esclama: “sì, hai ragione. Mia madre mi dice sempre che si sopravvive di ciò che si riceve, ma si vive di ciò che si dà”.

Purtroppo gli aspetti che detesto di questo Popolo non sono terminati.
Infatti in un Paese dove l’individuo vale meno che nulla, un’altra triste realtà è la pena di morte, prevista per sessantotto crimini (omicidio, rapina, sequestro di persona, violenza carnale, spaccio di droga anche per pochi grammi, frode fiscale, contrabbando, traffico d’opere d’arte, bracconaggio soprattutto di speci rare, divulgazione di notizie “inquinanti” anche tramite internet riguardantifalungong, diritti umani, democrazia, Tibet, Taiwan…)
Ma non basta… per capire fino a che punto i Cinesi possono arrivare decido di documentarmi e  leggo di sieropositivi minacciati di quarantena, Cinesi infettati dal HIV a seguito di un programma commerciale di raccolta sangue, dissidenti politici rinchiusi in ospedali psichiatrici senza motivo, monaci tibetani e membri di sette religiose torturati, centinaia di Cinesi giustiziati nelle piazze prima del Capodanno Cinese per dare l’esempio, condannati a vent’anni di galera per aver difeso i diritti dei lavoratori e della democrazia, siti internet bloccati perché considerati sovversivi… ma mai casi di padri condannati per aver ucciso la figlia neonata, al massimo gli assassini scontano una pena di uno o due anni!
Ecco questa è la realtà, ma Xiaoping è impassibile, anzi dice che si vogliono sostituire le esecuzioni con iniezioni letali, perché più economiche della fucilazione e permettono di preservare meglio il corpo facilitandone l’asporto di organi poi venduti per trapianti illegali… in Cina la morte non è un evento tragico come da voi, osserva orgoglioso Xiaoping, ricordando che qui all’anno vengono giustiziati più individui che in tutto il resto del mondo, quindicimila circa. Situazione forse aggravata anche dall’aumento della popolazione e dal fatto che una morte, in casi estremi, significhi più cibo e lavoro per altri, esulta trionfante Xiaoping, mentre taccio anche se vorrei mettergli le mani addosso… a che cosa servirebbe?
Nascondendo più che posso l’ira che provo nei suoi confronti, affronto la tematica della vendita di armi ai privati ed il viso di Xiaoping s’incupisce (ma allora un cuore ce l’ha!): “solo un Popolo stupido come quello yankee consente a chiunque d’acquistare armi, pur sapendo che muoiono più persone uccise da un’arma da fuoco che da malattia”. Eppure il newyorkese Todd ritiene che avere un’arma nel comodino sia diritto d’ogni americano, libero di difendersi in modo legittimo. Mamma mia sono profondamente delusa da tanto cinismo, ma anche se il più delle volte questi amici “internazionali” m’irritano, amo comunque discorrere con persone che manifestano idee diverse dalle mie e trovo sempre stimolante una bella chiacchierata soprattutto con chi vorrebbe cambiare il mondo. Ahimè, oggi l’arte della dialettica non è apprezzata come una volta, pochi meditano in compagnia e sanno farlo, la vita è spesso una lotta contro il tempo e quei pochi che l’hanno lo sprecano a chiacchierare di sesso, soldi e stupidaggini. Purtroppo con la stragrande maggioranza dei miei amici torinesi succede così… almeno questi “pazzi internazionali” hanno delle idee, certo non le condivido, ma avere delle opinioni su concetti universali è già un buon punto di partenza, no?
Adoro il mio ristretto gruppo di amici del Campus perché i temi affrontati sono tanti, forse il più delle volte persino superiori alle nostre culture. Con loro si discute di tutto…
Analizzando per esempio la situazione dei divorzi in Cina, scopriamo che sono aumentati del cinquanta per cento in soli dieci anni anche perché, guadagnando salari pari a quelli degli uomini, oggi le donne non sono più marito-dipendenti. Xiaoping racconta che i suoi genitori, dopo anni di tradimenti e discussioni, si sono separati: “ora siamo tutti felici e contenti, è finita quell’insostenibile atmosfera”. Strano, è raro approvare la separazione dei genitori, ma qui anche il Governo appoggia tale pratica e ritiene ragionevole che due persone che non s’amano più si lascino.
Per Elena, i cui genitori si sono separati proprio per questo motivo, tale ragionamento non fa una grinza, anzi rincara la dose domandandomi se quindi io sono sostenitrice delle coppie che, pur non amandosi più, stanno insieme solo ed unicamente per l’amore dei figli. Senza ombra di dubbio lo sono… sono una delle poche persone ancora convinte del “finchè morte non vi separi…”
Certo in cuor mio spero ardentemente di amare ed essere amata dal mio futuro marito fino alla morte, ma se ciò non dovesse accadere per amor dei figli “terrò duro” e sopporterò i dolori che la vita ha in serbo per me. Elena non è convinta: “Lolla e se dovessi incontrare l’uomo della tua vita a cinquant’anni? Cosa fai, rinunci al vero amore?”. Sorrido serenamente perché sono convinta che il solo unico vero grande amore sia quello di una madre verso i suoi figli! Elena è visibilmente commossa, devo aver toccato un tasto dolente. Lei non è convinta di volersi sposare e tanto meno avere figli: “ho paura di non essere all’altezza, di fallire come madre e come moglie. Ho il terrore di fare la fine di mia madre che a cinquant’anni ha trovato il grande amore ed ha abbandonato me e mio padre, o di mia zia che per amore dei figli persiste a stare col marito, pur sapendo che la cornifica”. Cerco di sdrammatizzare citando Mencio: “le mancanze di pietà filiale sono tre: la più grave è di non avere discendenza”. Elena sorride, anche se immagino preferirebbe spaccarmi la testa.

Un’altra discussione o meglio monologo che mi porta a riflessioni bizzarre sulla vita è quella avuta una sera al Blablabar a proposito della ripartizione della ricchezza e di che cosa s’intende per “benessere”.
Maliau, amico di Berlino Est, dà così inizio al monologo: “vedi Malini, la caduta del “muro” in realtà non ha unito un bel nulla, le due Germanie rimangono realtà distinte con opinioni diverse sul benessere: la parte democratica permane legata alla ricerca della ricchezza da “mostrare”, di case in quartieri vip anziché semplicemente spaziose e ben arredate, di macchine prestigiose anziché utilitarie pur confortevoli, di vestiti firmati anziché semplicemente morbidi o caldi, mentre ad Est la gente vive senza lo stress del far soldi e di mostrarli o l’inseguimento di miti consumistici. Io vivo lì, sono anche povero e m’accontento, ma secondo la mentalità consumistica questo non va bene, ti scambiano per uno senza interessi (i loro!), quasi un fannullone perché non m’affanno a far soldi…”. Poi, saltando di palo in frasca s’un altro tema non meno importante “….sono ateo, credo in me stesso e nell’evoluzione di Charles Darwin, noi Tedeschi dell’Est pensiamo che la comparsa dell’uomo sulla terra sia un’evoluzione biologica e la Bibbia un testo storico con un’interpretazione surreale”. Maliau ammette che è triste credere nel nulla, ma non è colpa sua, fin da piccolo gli hanno inculcato l’idea che “…ci sei solo tu e dopo la morte esiste il nulla”. Sono sbigottita ed intervengo: “qualcuno deve pur esistere, chiamiamolo Dio, Allah, Maometto, Buddha, non ha importanza, ma è grazie a Lui che viviamo e moriamo, il cosmo e la stessa legge di Darwin sono troppo complessi e meravigliosi per essere frutto del caso, dovrei dire che più si è intelligenti e colti più si deve “credere”.


LA MIA FAMIGLIA CINESE
Una famiglia che ha presso di sé un anziano ha presso di sé il più bello degli ornamenti ed il più prezioso dei tesori.
PROVERBIO CINESE

Ebbene sì, a Pechino ho una famiglia con gli occhi a mandorla che mi vuole bene!
Tutto ebbe inizio una sera a Pavia, ospite della mia amica Frengy, dove conobbi un grande scienziato cinese venuto in Italia per lavoro: il Signor Wang. Ancora ricordo l’espressione disgustata con cui mangiò gli spaghetti alla carbonara, ma per gentilezza li trangugiò tutti!
Sebbene cinquantenne o presumo tale, visto che gli anziani non hanno capelli bianchi ed i giovani fino a trent’anni sembrano bambini, il Signor Wang ed io stringemmo subito amicizia e proponemmo di rincontrarci in Cina.
Più d’un anno dopo, alle nove d’un gelido sabato mattina, la signora che siede nella reception del mio dormitorio viene a bussare alla porta della mia stanza. “C’è qualcuno che ti vuole” urla. Ancora assonnata, mi precipito nell’androne, ni hao ciao. Vestiti con “eleganza” ecco il Signor Wang con signora e figlia; il Signor Wang indossa una camicia azzurra con cravatta nera e giacca marrone, la figlia Rong una gonna marrone fino al ginocchio con stivali obsoleti e la mamma un maglione dai toni accesi e pantaloni larghi blu.
In passato ero prevenuta su questo Popolo, ora provo grande tenerezza, dolce compassione ed invidia: molti di loro ancora non conoscono gli allettamenti del consumismo, né il caos dell’eccesso di democrazia.
Osservo la piccola Rong (ha due anni più di me), commuove la sua semplicità e la dolcezza con cui mi prende per mano e cerca di mettermi a mio agio chiacchierando senza sosta, anche se non capisco ancora tutto ciò che dice!
Giunti al ristorante, i camerieri ci tolgono la giacca, spostano indietro la sedia ed adagiano il tovagliolo sulle ginocchia, da mesi non uso bicchieri di vetro e tovaglioli di stoffa… un ritorno alla civiltà certo non guasta!
Il signor Wang ordina un numero esorbitante di portate, tanto gli avanzi si portano via negli appositi contenitori baodao. Un proverbio cinese sostiene che “gli uomini sono il ferro ed il cibo la calamita”, quindi mi riempiono la bocca con roba che naviga in salse piccanti ed agliose e, tanto per cambiare, al termine del pranzo corro alla toilette per rigettare tutto.
Con lo stomaco in subbuglio ci avviamo a piedi verso casa Wang.
Entrati nel condominio, semplice ma curato, saliamo nell’ascensore dove una signora, seduta su una sedia pieghevole, schiaccia il pulsante del terzo piano, il secondo per noi se consideriamo che in Cina il pianterreno conta come primo.
Come d’uso, lasciamo le scarpe fuori dalla porta, meno male, così evitiamo di portare in casa le schifezze che immancabilmente si calpestano per strada. Le pantofole che la Signora Wang m’invita ad indossare sono le più grandi che ha, ma il mio piede scoppia, visto che in Cina sono tutte Cenerentole ed il numero massimo è il trentasei (per gli uomini il quaranta). Come una concubina dai piedi fasciati, varco la soglia dell’ampio alloggio con due camere da letto, sala da bagno, angolo cottura e salone arredato con televisore, telefono e cavalletto per le fotografie. Un simile appartamento qui è un castello!
Dopo vari convenevoli m’offrono del tè, dicono aiuti a digerire, mentre da una mensola impolverata afferrano un enorme album di fotografie: “sono tutti i nostri viaggi”. Incredibile, neanche un paesaggio, ma solo foto della famiglia che alza la mano con dita a “V” in segno di vittoria davanti ai monumenti della Tour Eiffel, Big Ben, San Pietro e… l’insostituibile foto di Mao in Piazza Tiananmen.
Chiuso l’album delle foto qualcuno suona alla porta, è Ying, il fidanzato di Rong. Con inglese zoppicante ed allungando le mani con buffo fare cinese consegna il suo biglietto da visita: è giornalista, scrive per una rivista di viaggi che lo manda spesso in giro per il mondo. Subito simpatizziamo, soprattutto quando si complimenta per il mio cinese, “sono pochi i laowai che parlano la nostra lingua bene come te”. Ricordando che la modestia è la migliore delle virtù, imbarazzata rispondo: nali nali, ma figuriamoci!
Per non essere da meno, anch’io prendo le vesti della cinese complimentosa e mi congratulo per l’alloggio.  Il Signor Wang spiega orgoglioso che sono coscienti della loro fortuna, gli alloggi pechinesi sono sprovvisti di lavatrice, lavastoviglie e congelatore, mentre nelle zone rurali non ci sono neanche telefoni e frigoriferi.
No, proprio ora che il mio stomaco iniziava a sentirsi meglio, la Signora Wang propone d’impastare e poi mangiare i jiaozi (ravioli al vapore). Il mio compito è poco impegnativo: servendomi di bacchette adagio all’interno una zuppetta di carne trita, spero pollo e non cane, aglio grattugiato e foglie verdi sconosciute.
Rong cita l’usanza d’offrire agli ospiti stranieri da poco arrivati i jiaozi ed a chi parte i miantiao (spaghetti), perché la forma allungata simboleggia lunga vita.
Sapevo che le fatidiche domande sarebbero prima o poi arrivate: “ma chi ha inventato gli spaghetti, è stato Marco Polo a portarli in Cina nel 1274 alla corte degli Yuan o li ha scoperti in Cina e ce li ha portati?… E poi Marco Polo è davvero stato in Cina oppure si è inventato tutto? Perché allora non parla di Grande Muraglia, piedi fasciati, tè, scrittura cinese?”.
Scoppio in un’allegra risata, mai si saprà chi inventò la pasta, ma certo i bucatini sono tutto merito nostro, visto che i Cinesi non riescono a fare un buco attraverso il sottilissimo corpo degli spaghetti! Non sto a sentenziare, ma Boccaccio nella novella Calandrino ci informa che i maccheroni erano conosciuti da tempo in Italia: “una montagna tutta di formaggio parmigiano grattugiato, sopra la quale stavan genti che niuna altra cosa facevano che far maccheroni e raviuoli”.
Per quanto riguarda Marco Polo, invece resta un mistero. Alcuni ipotizzano che forse la Grande Muraglia fosse meno imponente quando Marco Polo visitò la Cina, ma resta bizzarro che il nostro Veneziano non abbia accennato al tè e neppure alla scrittura così insolita da attirare l’attenzione di chiunque. Una possibile spiegazione riguardante i piedi fasciati potrebbe essere la seguente: Marco Polo visse insieme ai Mongoli le cui donne non avevano tale abitudine. Ma restano altri misteri da svelare. Perché la sua presenza a Yangzhou in qualità di alto funzionario non è confermata da nessuna cronaca locale cinese?

Terminata l’operazione raviolo, una decina d’amici di Rong irrompe nell’appartamento per vedere da vicino la “bestia rara”; ebbene sì, avere amici stranieri significa avere rapporti con marziani venuti da un pianeta lontano. Mi studiano, ridacchiano scambiandosi occhiate maligne e frasi ad alta voce, ma ad una velocità tale da non farsi capire. Non li sopporto!
Quando finalmente i “cattivi” se ne vanno sono già le sei, è ora di cena. Aiuto!
Ci sediamo a tavola per “assaporare” i ravioli che intingo più volte in un liquido marrone, sembra soia, così attenuo il sapore dell’aglio e ricordando l’abitudine di lasciare un po’ di cibo nel piatto per dimostrare sazietà, ne approfitto abbondantemente. Non ho ancora adempiuto il mio dovere d’ospite però, “…dai bevi un po’ di questo latte di mandorla, è buono, d’importazione, è raro”, come faccio a dire che odio questa nauseante bevanda giallognola, per cui ingurgito tutto d’un fiato!
Guardo l’orologio, sono le sette, scatto un paio di foto ricordo con le dita ovviamente alzate in segno di vittoria e libero i piedi dalla gabbia per calzare le mie amate scarpe da ginnastica, mi sembra di rinascere!
Come usa, la famiglia al completo m’accompagna al portone dove ci scambiamo gli ultimi saluti alla cinese, per cui m’inchino svariate volte sorridendo senza mai abbracciarli o baciarli.
Dopo poco, con pancia piena ed un’emicrania folle, siedo su una Wolkswagen Santana dello zio di Rong ed ancora una volta ho la conferma di quanto incapaci siano i Cinesi nella guida, lo shushu (zio) fa gracchiare la frizione ogni volta che cambia marcia, frena all’improvviso e suona il clacson all’impazzata.
Non so come ma arrivo a casa sana e salva, mi metto in pigiama e sogno un bel piatto di spaghetti all’amatriciana!


TAOJIA HUANJIA SHOPPINGARE

L’Oriente è rosso al sorgere del sole, in Cina sorge Mao Zedong, il Presidente Mao che ama il Popolo. Sei il nostro Salvatore, la nostra guida, amato Presidente Mao, sole dei nostri cuori, la tua luce brilla per noi
L’ORIENTE ROSSO

A Beijing lo shopping diventa un gioco, vince chi meglio mercanteggia. Si contratta su vestiti, libri, frutta, farmaci, al ristorante (ove le mance sono un’offesa), ovunque.
Divento una cultrice degli acquisti, inizio persino ad apprezzare le cineserie e gli oggetti d’antiquariato in vendita a Liulichang, in passato quartiere dedicato a questi articoli, poi raso al suolo e ricostruito, ciò nonostante impregnato dell’aria d’un tempo che aleggia tra botteghe di rilegatori e stampatori colme di reperti per calligrafia.
I sigilli sono gli oggetti che prediligo, ne compro un paio per gli amici italiani facendo scolpire i loro nomi tradotti in cinese. Usati per supplire a caratteri complessi, anticiparono carte d’identità e certificati fungendo da strumento d’identificazione; ancora oggi è possibile firmare contratti od altri documenti a proprio nome o d’altri con un sigillo, non pare vero, per cassette di sicurezza, conti in banca e compravendite d’immobili si può usare il sigillo personale!
Nella città di Tianjin, ad un’ora di treno da Beijing  trascorro domeniche felici vagabondando, sola o con il mio boyfriend Josh, nelGuwan Shichang, un mercatino ben fornito di tappeti tibetani con Mandala, imitazioni di quadri famosi, sculture, gioielli e… occhiali di Mao!
A Pechino mi diverto anche a passeggiare nella via principale Wangfujing, dove enormi magazzini s’alternano a banche, librerie, ristoranti, farmacie… è qui che s’erge su tre piani l’antica farmacia Tongrentang dove trovo le erbe usate nella Medicina Tradizionale: radici di ginseng, corna di cervo, pinne di pescecane e versioni cinesi delle medicine occidentali come aspirina e tachipirina. Ma il mio negozio preferito a Wangfujing è la panetteria Delifrance, dove profumano ottimi croissants a buon prezzo ebaguettes che hanno lo stesso sapore di quelle francesi! Aiuto sto ingrassando a vista d’occhio… e pensare che ogni giorno vado un paio d’ore in palestra o in piscina!
La vera “mecca” dello shopping però resta il Silk Market, dove spesso mi reco con Sibille per comprare borse e vestiti di marca imitati alla perfezione. Qui più che altrove bisogna mercanteggiare, taojiahuanjia appunto. Mi adeguo al gioco-spettacolo comportandomi così: scelgo una bottega m’addentro e guardo mentre il proprietario blatera le solite parole in inglese “…a buon prezzo…non è un’imitazione…”, ecco trovo qualcosa, ne chiedo il prezzo pur sapendo che il venditore sparerà una cifra spropositata, ma comunque già molto inferiore a quella Occidentale… “tai gui le, troppo caro” esclamo lottando con me stessa per non lasciarmi intenerire dal pover’uomo che con quella cifra festeggerebbe per un mese! Inizia il match: lui cerca di raggirarmi, ma irremovibile dico una cifra cinque volte più bassa, allora con espressione contrariata, prima fa il gesto di mandarmi via, poi mi richiama blaterando qualcosa sulla qualità del prodotto e bofonchiando fa un prezzo molto più basso, ma non ancora sufficiente; quasi ci siamo, dandomi pacche sulle spalle e sorridendo mi prende in simpatia ed inizia a farmi un sacco di domande: da dove vengo, come mai parlo cinese, se mi piace la Cina, se ho fratelli, se ho nostalgia di casa ed addirittura se ho il nanpengyou (fidanzato). Da lì a poco sono accerchiata da una folla incuriosita dal marziano con occhi tondi che conosce le regole del gioco e parla cinese, poi, continuando a litigare come bambini, il mio amichetto arriva quasi alla mia offerta, ho vinto! Fingo d’andarmene e dopo qualche secondo sento gridare “pengyou huilai, oke, oke…! Amico torna qui, va bene…!”. Ce l’ho fatta, pago, ringrazio e me ne vado, mentre lui o butta qualcosa per terra perché non ha guadagnato abbastanza o sorride e m’abbraccia perché comunque è soddisfatto, “xiaci huilai, torna ancora”.

Sibille ed io ci divertiamo come bambine al silk market ed a Liulichang, ma cosa davvero ci manda in bestia è la maomania. Ovunque si vendono migliaia di odiosi souvenirs di Mao: accendini con la sua foto che suonano l’ “oriente è rosso”, magliette, mutande e capellini con impresso il suo viso paffuto! Non ho mai capito perché la gente compra solo oggetti che riguardano Mao e non altri. Io personalmente non lo stimo molto come personaggio storico, non tanto per le sue idee politiche che non condivido ma comunque neppure condanno, quanto per i troppi errori commessi, sbagli che sono costati cari al Suo Popolo! Cito per esempio il massacro dell’esercito cinese durante la Guerra in Corea, l’epurazione della destra nella Campagna dei Cento Fiori e la brutale Rivoluzione Culturale. Davvero non capisco perché nonostante ciò, Mao resta per i Cinesi un super uomo, l’ultimo grande Imperatore, l’immortale? E che dire poi della sua passione per il nuoto che lo spinse ad attraversare il Fiume Yangzi davanti alle telecamere per dimostrare prestanza fisica nonostante l’età? Lascio ai posteri l’ardua sentenza…
Qualcuno ha cercato inutilmente di descriverlo come un semplice con tendenze omosessuali e la sigaretta accesa, furono anche messi al bando testi come “Mao Zedong uomo, non dio” di Quan Yanchi che attinse dagli appunti della sua guardia del corpo, oppure “vita privata del Cancelliere Mao” di  Zhisui Li, suo medico per ventidue anni.
Ma non importa che Mao, come tanti contadini cinesi, non si lavò mai i denti e avesse a sua disposizione un esercito di ragazze vergini perché secondo la tradizione andare a letto con una vergine favoriva la longevità, no Mao resta un superuomo, i Cinesi lo ameranno comunque per sempre, sono fatti così.

SIBILLE
Ciò che il bruco chiama fine del mondo il resto del mondo chiama farfalla.
LAOZI

Desidero dedicare questo ed il seguente capitolo a Sibille, la mia unica vera grande amica del cuore, quella che anche se vive a Beirut e vedo ormai solo una volta l’anno, chiamo quando ho bisogno d’un consiglio o per sentire la sua voce, sapere come trascorre le sue giornate.
La conosco insieme a Josh e gli altri la prima sera. Scopriamo subito d’avere molto in comune, diventiamo presto amiche ed assieme impariamo a capire questo Popolo diverso e distante. Durante i nove mesi cinesi fantastichiamo sul futuro e trascorriamo giornate a sognare scoprendo noi stesse. Entrambe temiamo il ritorno in patria, la quotidianità e forse per questo amiamo tanto la Cina, qui ogni secondo è diverso dal precedente ed eccitante. Sibille risveglia il cavallo selvaggio che dorme in me, il destino l’ha messa sulla mia strada per farmi imboccare la via nomade cui sono destinata, grazie piccola Sibille, con il tuo aiuto ho scoperto me stessa, no a dir il vero sto ancora scoprendo me stessa, il cammino è lungo e la meta lontana! Ma tu sei e sarai sempre la mia guida, ti voglio bene Bena!
In Cina spesso la notte prima di addormentarmi penso all’esperienza che sto vivendo e stranamente ogni volta provo una sensazione di rabbia e soddisfazione, rabbia perché quei giorni non torneranno e soddisfazione perché, anche grazie a Sibille, sto vivendo questi mesi senza sciupare neppure un secondo. L’ultimo straziante abbraccio al termine del nostro “viaggio” sarà per sempre vivo nei nostri cuori… un arrivederci disperato perché, una volta in patria, ci sentiremo sole ed incomprese, neppure i nostri più cari amici d’un tempo capiranno il nostro stato d’animo e non potranno aiutarci. Dovremo ahimè fingere di essere le ragazzine d’un tempo, convinte che Torino per me e Beirut per lei siano il mondo!

Chiedo spesso a Sibille di parlarmi del Libano, le mie informazioni sul Medio Oriente sono limitate all’eterna guerra tra Palestinesi ed Israeliani. “Io non sono Araba, sono Libanese” precisa con energia, fiera d’essere nata in quel piccolo Stato dove si sviluppò l’Impero Fenicio. In famiglia parla arabo, a scuola francese e con gli amici usa parole francesi condite con espressioni arabe, inglesi e persino italiane. L’arabo è una lingua gutturale e dura, tanto che Sibille sembra un’altra persona quando al telefono parla in dialetto con la famiglia.
“Lolla credimi il Libano è come l’Europa, ci sono grandi imprese, grattacieli, belle case, macchine prestigiose, locali notturni alla moda, ragazzi affascinanti…!”.
Per far conoscere a Steven (il suo boy), Josh e me qualcosa del suo mondo una sera andiamo a mangiare al ristorante libanese diSanlitun, ove ci rimpinziamo di hummus (purè di ceci da spalmare su pane arabo caldo), falafel (crocchette di legumi o vegetali) elaban (yogurt dal sapore intenso con pane arabo, sale, prezzemolo ed olio d’oliva). Suona sempre la stessa canzone, le cui note ancor pulsano nel cuore “Aisha Aisha ecoutes-moi Aisha Aisha ne t’en va pas!“.
Ma come mai il locale è vuoto pur essendo uno dei più rinomati della città? “E’ periodo di Ramadan” mi spiega. “Io sono Cattolica e non capisco il perché di tante regole Musulmane, rigide, inutili e contro natura!”. Con il solito fervore racconta che molti suoi amici pregano cinque volte al giorno rivolti alla Mecca dove si recano almeno una volta nella vita, inoltre durante le preghiere devono apparire in ordine e puliti, per cui prima dovrebbero lavarsi le mani e fare la doccia. Con tono ironico spiega che il mese delRamadan, nono mese del calendario Musulmano, dovrebbe essere periodo di meditazione e preghiera da trascorrere in famiglia, ma è solo un’occasione per far festa perché, con l’eccezione di anziani, bambini e donne incinta, di giorno s’osserva il digiuno e non si beve nulla, ma di notte molti s’abbuffano ed ubriacano fino all’alba. Lo stesso vale per i Musulmani presenti nel Campus, divorano maiale senza esitazione e tracannano alcool in grande quantità; pur criticabile, questo è uno sfogo logico a regole troppo rigide cui i Musulmani sono sottoposti da troppo tempo, osserva Sibille.
Ma non sono i soli a comportasi così, per esempio la Kuwaitiana Eveline è un classico esempio di quanto frustranti siano le regole troppo rigide. “In Kuwait noi donne contiamo meno di nulla, la sera non sono mai uscita, ma non perdo molto perché i pochi locali sono frequentati solo da uomini e prostitute; inoltre, mio padre m’obbliga a coprire il volto ogni volta che varco la soglia di casa, ma non voglio rimanere una schiava, voglio scoprire il mondo, essere libera, ecco perché sono venuta in Cina con la scusa di studiare la lingua!”. Dopo tanta repressione, Eveline prende la via sbagliata ed appena arriva al Campus inizia a truccarsi pesantemente, parlare in modo sboccato, ubriacarsi e vestirsi con gonne corte, stivali e top eccentrici; poi, con il volto rigato di lacrime, una sera piomba in camera mia: “ieri ho fatto l’amore la prima volta, sono finita, la famiglia mi diserederà, perché una donna Musulmana deve rimanere vergine fino al matrimonio o non trova marito”. A questo punto perde la testa, trascorre più notti con uomini diversi e demoralizzata fugge a Los Angeles da un’amica, ma per fortuna dopo qualche mese ricevo una sua email: “mi sposo con un facoltoso imprenditore del Tennessee, andremo a vivere a Seattle, sono elettrizzata. Non ho più notizie di mio padre e mia madre la sento di tanto in tanto per telefono. Ah, dimenticavo, ovviamente ho detto addio al Kuwait”.
Eveline non è l’unica donna che si ribella ad un’esistenza prigioniera, anche in Libano molte ragazze tentano di fuggire, ma quasi sempre finiscono per metter la testa a posto ed accettare la condizione d’inferiorità.
Vivere in Medio Oriente, Libano compreso, non è facile anche perché si lotta contro la dura realtà della guerra. Sibille è obiettiva: “in Libano la violenza è all’ordine del giorno, il terrorismo è presente in ogni forma ed a Beirut i kamikaze sono una realtà”. Una ventina d’anni fa, quando sua madre era incinta, bombardarono la villa accanto ove risiedeva un’emergente figura politica, Sibille aveva tre anni, ne rimase sconvolta. Una volta, seduta al ristorante con la famiglia, s’è sentita portare via dal padre perché era entrato un terrorista con bombe nel cappotto. “Quanti amici sono partiti per la guerra e mai tornati, quanti corpi privi di vita per strada, quanti bambini affamati sui marciapiedi e qual dolore nel vedere mio padre alla guida d’un carro armato!”. Per timore la fraintenda, aggiunge: “amo la mia terra, ma come molti connazionali devo emigrare, perché Beirut non è sicura; comunque, non tutto il male vien per nuocere, queste guerre vissute in prima persona m’hanno resa forte e speciale, il triste passato m’ha insegnato a superare ogni ostacolo”. Che sia questa sua audacia ad avermi conquistata? Grazie a lei sono maturata, da ragazzina viziata sono ora una donna pronta a lottare, certo il cammino è ancora lungo ma grazie a lei sono uscita dal guscio. Ancora una volta, xiexie Sibille, grazie Sibille.

Sibille ama l’avventura, il rischio, primeggia in tutto, rock-climbing, danza del ventre, sci, calcetto, judo e… è un po’ pazza. Approfitta delle vacanze del Capodanno Cinese (Chunjie) per vagare solitaria in Tibet, scalare parte del Monte Everest e scoprire angoli misteriosi del Nepal.
La faccenda è complessa. Durante le vacanze del Chunjie io prevedo di rientrare due settimane in Italia, mentre Sibille vorrebbe fare un viaggio ed allora discutiamo su motivazioni e problematiche della nuova avventura. Vuole andare in Giappone, ma non è facile per una Libanese ottenere un visto per Tokio e, a parte questo, i prezzi scoraggiano: il solo biglietto aereo s’aggira sui cinquecento euro, figuriamoci il resto. E poi c’è il problema della lingua, gran parte dei Giapponesi, come in Cina, parla solo la lingua madre, “Lolla io so solo dire sayonarasake e karaoke“. Quando domando perché vuole andare in Giappone risponde: “ho voglia di pulizia, del proverbiale ordine giapponese”. Già, Giapponesi e Coreani sono fissati per l’igiene, ad esempio Aiko, la sua compagna di stanza, si lava i capelli ogni sera prima di dormire. La cosa buffa è che si lava “a pezzi”, prima s’occupa dei capelli e poi del corpo e nella doccia si porta una sedia perché dalle sue parti ci si lava seduti. I “Giapu”, come Cinesi e Coreani, hanno poi un forte senso del dovere, Aiko resta tutto il giorno chiusa in stanza a studiare. Tra le altre particolarità, camminano strascicando i piedi, si cambiano le scarpe prima d’entrare in casa, non rimboccano le coperte sotto il letto, ma formano una specie di sacco in cui s’arrotolano. Sibille ridacchia: “Aiko è impressionante, s’addormenta e si sveglia nella stessa posizione, non l’ho mai sentita muoversi, a volte temo sia morta”. La conclusione di tutti questi discorsi pare sia: “chi me lo fa fare d’andare in Giappone?”.Accantonata l’idea del Sol Levante, Sibille mi chiama nel mezzo della notte: “Lolla, parto per il Tibet, vieni con me?”. Non ho più nessun dubbio, Sibille è un po’ pazza!


SIBILLE E TIBETLANDIA
Il momento per salvare un uomo, nonché verificarne le virtù, è nelle difficoltà.
PROVERBIO CINESE

Le vacanze del Chunjie terminano, io rientro dall’Italia dove rivedo la famiglia e Sibille torna al Campus, lei entusiasta, mentre io per un attimo mi pento di non essere andata con lei. Poi, penso a mio padre, la persona che più stimo, alla mamma, a quanto piango leggendo le sue lettere e penso alla voce tenera da spezzare il cuor del mio fratellino Jic, alto quasi il doppio di me, che alla partenza dice: “sbroberellina mi raccomando stai attenta, tieni la testa sul collo, ma divertiti e cerca di vivere ogni esperienza fino in fondo perché non tornerà più, mai più!”. Da un lato il desiderio quasi brama di conoscere il mondo, dall’altro gli affetti ed in mezzo io, frastornata. Charles Baudelaire scriveva “non uccidere lampi di felicità!” e Lucio Battisti cantava “chiamale se vuoi emozioni”.

“Lolla dovevi venire, è stato magico!” commenta Sibille all’uscita dell’aeroporto, quando la vado a prendere.
Un alone di mistero circonda il Tibet, non a caso i Cinesi lo chiamano Xizang, cioè Tesoro nascosto dell’Occidente. Settanta milioni d’anni fa era bagnato dal mare, poi il continente indiano e cinese cominciarono a muoversi l’uno verso l’altro e da quello scontro sorse la catena dell’Himalaia con al centro l’altopiano del Tibet. Non pare già un incantesimo? Personalmente associo a questo lembo di terra noto come “tetto del mondo”, il film “sette anni in Tibet” con Brad Pitt, qualche testo del Dalai Lama e del Lamaismo, ma queste poche informazioni sono comunque micce che fanno scoppiare il desiderio d’andare in Tibet.
Sibille mi parla di mudras (posture rituali), mantras (discorsi sacri), yantras (arte sacra) e lamas (preti considerati reincarnazioni d’esseri evoluti) e Lamaismo, quel Buddismo Tantrico che consente capacità paranormali e la sopportazione di sofferenze inumane, tanto che alcuni seguaci comunicano per telepatia e molti sopravvivono poco vestiti a temperature sotto zero. Pare anche che i Tibetani siano camminatori instancabili. Nel cinquantanove per esempio quando il quattordicesimo Dalai Lama (Oceano di Saggezza) fu esiliato da Norbulingka, in soli due giorni di marcia raggiunse l’India con ben ottantacinquemila fedeli; da allora vive in esilio e nell’ottantanove ha vinto il Premio Nobel per la Pace, quella Pace che in Tibet non è mai esistita.
La questione dell’indipendenza del Tibet è d’attualità, ma in Cina, insieme al massacro di Tiananmen dell’ottantanove, è un argomento tabù, spiega Sibille. Infatti, quando l’Esercito di Liberazione del Popolo (nome poco azzeccato!), decise di “liberare” il Tibet morirono più d’un milione di persone! Inoltre, quasi tutte le opere culturali e religiose vennero distrutte, compreso il Ganden, il terzo monastero più grande del mondo e degli altri duemila ne sopravvissero solo dieci! I Cinesi dal canto loro non comprendono l’ingratitudine dei Tibetani per essere stati “liberati”, per aver investito miliardi di dollari americani, costruito fabbriche, scuole e ben ventimila chilometri di strade… ciò nonostante, giustamente, i Tibetani non perdonano chi ha distrutto la loro religione e cultura! Infatti, una guida tibetana confida a Sibille: “come posso amare i Cinesi? Ci fecero pagare con l’anima tutto quel che fecero, costruirono strade, ma distrussero templi, costruirono ospedali, ma uccisero lamas, ormai cosa serve discuterne, la giustizia non restituirà il milione di morti!”.
Con i racconti di Sibille trascorriamo intere serate bevendo tè verde e sognando il Tibet, soprannominato anche “terra delle nevi” per le sue temperature polari, “…sembra che le quattro stagioni s’alternino in una giornata…” osserva Sibille “…di notte si scende sotto zero, ma di giorno la temperatura arriva a quaranta gradi ed all’ombra l’aria è sempre fredda. Siccome l’aria rarefatta causa problemi respiratori, furono piantati migliaia di alberi per aumentare l’ossigeno, ma inutilmente. E poi, l’acqua bolle a ottantasei gradi, i germi non muoiono e la gente si lamenta per le frequenti infezioni intestinali! Anche il cibo è terribile, la tsampa è disgustosa, ma è il piatto principale fatto d’orzo arrostito, mentre i thukpa (spaghetti con carne) ed i momos (polpette di carne o verdura) sono commestibili, ma indigesti; dissetante e saporito è invece il chang, bevanda alcolica dal sapore leggermente piccante ricavata dall’orzo fermentato”.
Scorrendo l’album delle foto di Sibille ammiro maestoso ed inquietante il Potala, nome della montagna sacra indiana un tempo centro del governo tibetano e residenza invernale del Dalai Lama. Le dimensioni impressionano: tredici piani, statue e tombe dei sette Dalai Lama, per costruirlo lavorarono per cinquant’anni settantamila manovali e millecinque artisti ed artigiani!
Le immagini dell’album s’alternano rapide come mosaici d’un mondo dove tutto è al suo posto. Sibille commenta la foto d’un bambino che gioca a palla: “…ha una luce negli occhi che attira, lo fa sembrare un angelo…!”, ora evidenzia la serenità trasmessa dallo sguardo di due Monaci, la bellezza dei tappeti in lana decorata degli artigiani ed il mandala disegnato dai Monaci con la sabbia colorata. Sibille spiega che nel Buddismo Tibetano, un mandala è un palazzo immaginario contemplato durante la meditazione, in realtà sono cerchi concentrici raffiguranti il ciclo dell’universo, non a caso in sanscrito mandala significa cerchio. Sibille fotografa con attenzione anche i minuscoli cani tibetani che lì non finiscono in padella, anzi, per il Tibetano le bestie sono reincarnazioni, i cani in particolare sono parenti desiderosi di restare vicini alla famiglia!
Sibille ha persino la grande fortuna o sfortuna, dipende dai punti di vista, di assistere al “funerale del cielo”, una cerimonia impressionante ed unica, ma essendo cruenta non è per turisti. Come prevedibile, Sibille costringe la guida ad accompagnarla ed insieme si recano sul luogo della cerimonia. “I cadaveri vengono portati a spalla avvolti in lenzuoli bianchi, gli squartatori li mettono a pancia in giù contro la pietra, con un colpo spaccano la testa così che l’anima possa andarsene verso la nuova reincarnazione, poi aprono il petto dando cuore e fegato al più grande degli avvoltoi, quindi fanno a fette la carne per i corvi”. Sconvolgente, ma che differenza fa, dopo tutto lasciamo mangiare i nostri morti dai vermi sotto terra, loro dagli uccelli in cielo!
Queste le crude immagini con cui Sibille saluta Lhasa, poi si mette in viaggio verso il Monte Everest, non è sola ma con un gruppo di amici conosciuti nell’ostello dove pernotta. Un’esperienza indimenticabile: di giorno cammina ininterrottamente, mentre la sera dorme nelle tende. Ma la vacanza viene rovinata da un imprevisto: durante la prima escursione, un ragazzo si sente male, Sibille lo accudisce ed ancora scioccata racconta: “ero sconvolta, pensavo sarebbe morto da lì a poco, Jhon sviene, lo portiamo in tenda dove la febbre inizia a salire, straparla, lo tengo sveglio, ho paura che una volta addormentato non si svegli più”. Già, ci vuole il “fisico” per scalare l’Everest, ad una certa altezza non c’è ossigeno sufficiente, è terribile! “Anche i prezzi tolgono il respiro, sono rimasta senza soldi…” ironizza Sibille “…per raggiungere il Monastero di Rongphu ogni passeggero sborsa sessantacinque kuai ed ogni veicolo quattrocento!”.
Dunque, con i pochi soldi rimasti Sibille prosegue l’avventura verso Kathmandu (Nepal) dove rimane solo due giorni perché le lezioni del nuovo semestre stanno per iniziare. “Kathmandu sembra formata da due città diverse che convivono”, spiega Sibille mostrandomi un’altra montagna di fotografie; da una parte c’è la fiabesca capitale storica dove conviviali pellegrini si recano a pregare in templi di mattoni rosa, dall’altra la metropoli che giace asfissiata da fumi di macchine, fabbriche e… spinelli! Tutti fumano spinelli, spacciano droga e cercano di borseggiare i turisti ed in particolare il Ganga Parth, la via più caotica della città, è poco sicura per i bianchi!


PRIMO OTTOBRE IN TIANANMEN
Per uno studioso ogni nuova parola vale più di mille chili d’oro.
PROVERBIO CINESE

Al ritorno dalla discoteca, con un gruppo d’amici, mi reco all’alba del primo ottobre in piazza Tiananmen (Tian:cielo, An:pace,Men:porta) per assistere all’alzabandiera. Nonostante siano appena le sei, la piazza è piena di gente. I Cinesi non hanno dimenticato quel lontano Primo Ottobre 1949, quando l’amatissimo Presidente Mao proclamò la nascita della Repubblica Popolare Cinese.
Presa da un raptus di pazzia sventolo il drappo rosso in mezzo ad una marea d’altre bandierine, mentre un altoparlante trasmette l’inno cinese ed arie dell’Opera di Pechino. Sono nel caos, i Cinesi urlano come ossessi, spingono e scattano foto davanti ai soliti soggetti, ma nonostante l’onorabilità del posto e dell’occasione, continuano a sputare per terra anche sotto la foto dell’amato Presidente!
Come ogni volta che mi reco alla Porta della Pace Celeste, osservo la piazza da ogni angolazione. Sono nella piazza più grande al mondo, quella che i Cinesi considerano “l’ombelico” di Beijing e della Cina intera, un mare lastricato di ottocento per cinquecento metri che può ospitare oltre un milione di persone. Al centro domina il Monumento degli Eroi del Popolo, ad est il Grande Palazzo del Popolo, ad ovest il Museo della Storia Rivoluzionaria Cinese, mentre a sud la completa il Mausoleo del Presidente Mao.
Personalmente associo Tiananmen al massacro degli studenti che scesero in piazza per chiedere maggiore libertà di parola ed informazione, ma come andarono le cose pochi lo sanno perché questo, insieme al “free Tibet“, è un argomento tabù. Una versione dei fatti dice che alcuni studenti s’erano legati ad una copia della statua della libertà di New York, ma i carri armati continuarono ad avanzare mescolando il gesso della statua ai corpi maciullati! Secondo la versione ufficiale nessun studente morì nella piazza, mentre furono uccisi ventitré giovani nei tumulti dei dintorni, come reazione all’uccisione di centocinquanta soldati ed al ferimento di più di cinquemila!

Nell’ottantanove grazie al cielo non ero in Cina, ma a Capodanno del duemila nella piazza assisto ad un fatto che mi lascia assai interdetta. Mi unisco ai numerosi gruppi di stranieri e Cinesi che, sebbene celebrino il Capodanno un mese dopo, si divertono ugualmente a bere, cantare ed osservare noi “marziani dagli occhi grandi”. Mancano pochi minuti all’inizio dell’anno (Serpente) ed io con Sibille, Josh ed una ventina di altri amici mi faccio largo per arrivare nel bel mezzo della Piazza, ma quando stiamo per scambiarci gli auguri vediamo tre uomini portar via un giovane, buttarlo in un furgone, picchiarlo a sangue ed abbandonarlo tra la folla incurante!
Terrorizzata osservo quel poveretto svenuto in un bagno di sangue e stupisco per l’indifferenza della gente, anche se in altr’occasione ho già avuto modo di rilevare la freddezza con cui i passanti fingono di non vedere una vecchietta che, caduta per strada, non riesce a rialzarsi.
“Non è una banale scazzottata…”, spiega Brendan, il migliore amico di Josh “…succede spesso soprattutto in occasione di queste manifestazioni in cui la polizia reprime a manganellate, arresta o abbandona privi di sensi i seguaci della setta del Falungong, lo fa per garantire la sicurezza!”.
Non ho mai sentito parlare del Falungong, ragion per cui chiedo informazioni a Brendan.  Letteralmente tradotta con “esercizio della ruota della legge” e fondata nel ventidue dal maestro d’arti marziali Li Hongzhi, è in auge con cento milioni d’adepti. Questo Li Hongzhi insegna che il mondo è diviso in tre parti: quella del guardiano (lui stesso), quella degli spiriti d’insolita virtù, vale a dire il Dio cristiano, Buddha eccetera, e quella in cui vive la gente comune. Sostiene che la ruota del Dharma è come un cosmo in miniatura che, ruotando in direzioni alternate negli addomi dei seguaci, è in grado di scacciare il cattivo Karma ed accumulare Qi, lo spirito vitale. Il cattivo Karma sono le lezioni che non abbiamo imparato nelle vite precedenti e ritroviamo in questa sotto forma di problemi, mentre il buon Karma sono invece le lezioni che abbiamo imparato e sperimentiamo come cose facili che non richiedono fatica.
Questo Li Hongzhi aggiunge Sibille è davvero un tipo bizzarro, crede d’avere poteri sopranaturali che gli consentono d’interferire con le altre dimensioni e pensa che l’umanità presto verrà annientata da alieni che intendono sostituire gli esseri umani con cloni! Pare quasi la trama di un film di Spielberg… robe da non credere!
Il resto me lo racconta il nepalese Rey: “un tempo gli esponenti del Falungong godevano di buona libertà, ma la situazione è degenerata dopo il novantanove, quando a Pechino quindicimila discepoli eseguirono esercizi di respirazione e meditazione davanti a sede del Partito Comunista e radio nazionali. I risultati della manifestazione, pur pacifica, furono disastrosi: i principali leaderfurono espatriati, Li Hongzhi ora vive negli Stati Uniti, molti seguaci furono imprigionati ed il governo, notando l’immensa popolarità di questa ideologia, la reprime costantemente”.
Non ha torto lo Stato, visto che in passato sette e società segrete furono base d’insurrezione, fu il caso della rivolta di Taiping,fomentata da una setta religiosa d’ispirazione cattolica che provocò una guerra costata venti milioni di morti o dell’insurrezione deiBoxer che coinvolse potenze mondiali e si concluse con la devastazione di Beijing.


IN CINA ESISTE BABBO NATALE?
E’ necessario conoscere dove fermarsi, conoscendo il limite si ha la tranquillità, avendo la tranquillità s’ottiene la pace, ottenendo la pace si possono prendere decisioni, potendo prendere decisioni si può agire.
CONFUCIO

In Cina sono costretta ad andare a lezione il primo novembre, l’otto dicembre, il giorno di Natale, Santo Stefano e tutti i giorni di festa in Italia, ma per fortuna il Campus rispetta le festività cinesi, che sono suppergiù una ventina.
A parte il Chunjie (Capodanno Cinese) altre importanti festività sono la Festa delle Lanterne, delle Barche Drago, di Metà Autunno, della Pulizia dei Sepolcri, del Lavoro, del Fanciullo, l’Anniversario del Partito Comunista, quello della fondazione dell’Armata di Liberazione Popolare e molte altre ancora.
I preparativi per il Chunjie durano un mese; ogni famiglia pulisce a fondo la casa, salda i debiti, acquista abiti nuovi, taglia i capelli, accende incensi per venerare gli antenati ed appende striscioni rossi alle porte, draghi di carta colorata e caratteri fu per auspici di fortuna e prosperità. L’ideogramma fu 福anticamente ritraeva una figura inginocchiata davanti ad un altare con fumi d’incenso che salgono al cielo, mentre il carattere semplificato moderno ritrae a sinistra un altare ed a destra una scatola di gioielli per rappresentare l’unione di piaceri spirituali e materiali. Mi piace talmente questo carattere che presto diventerà soggetto di un mio secondo tatuaggio, visto che sul polso ho già tatuato il carattere an 安che significa pace e serenità.
Vivian racconta che alla vigilia del Capodanno, anche le famiglie Cinesi si riuniscono per il cenone ed a mezzanotte si scambiano auguri e hongbao (buste rosse contenenti denaro) divertendosi con assordanti fuochi d’artificio e petardi… c’è una lunga storia dietro quest’ultima usanza. Molti anni fa un feroce demone di nome Nian, rinchiuso per punizione dal Dio del Paradiso in una remota montagna, riacquistava la libertà per un giorno all’anno; la gente terrorizzata si radunò per discutere la maniera d’affrontarlo ed alcuni supposero temesse fiamme, rosso e frastuono, ragione per cui si decise di mettere cartoncini rossi sulle porte, preparare fuochi d’artificio e suonare gong tutta la notte. La baraonda funzionò, perché dopo aver tremato di paura per tutta la notte Nianritornò nella montagna senza più uscirne. Ecco perché, conclude Vivian,  durante il Chunjie ancora oggi la Cina si trasforma in un enorme luna park con vie principali addobbate di luci e lanterne rosse, ricolme di folla schiamazzante che mangia, beve, canta e balla.

Come da noi, i Cinesi associano ad ogni festa una specialità culinaria ed una storia da raccontare, come quella di Babbo Natale o della Befana.
Per esempio la yuebing, deliziosa torta della luna con ripieno di confettura di fagioli rossi, si consuma in occasione della Festa di Metà Autunno (settembre), ricorrenza che trae origine dalla favola d’una donna che vive sulla luna in un palazzo di cristallo… tanto tempo fa apparvero in cielo dieci soli, ma per fortuna un giovane arciere riuscì a sopprimerne nove riportando la normalità nell’Impero. Per premiarlo la Dea del Paradiso Occidentale gli donò una pillola capace di renderlo immortale, ma la moglie l’ingerì al suo posto, sparì sulla luna e si pensa sia ancora là ad osservare noi umani.
Divertente è la storiella che si racconta in occasione della Festa della Lanterna (febbraio) mangiando yuanxiao, palline di riso ed impasto di fagioli. L’Imperatore di Giada abitava piacevolmente nel Palazzo del Paradiso, ma era triste per la solitudine ed un giorno, scoprendo che noi umani vivevamo meglio di lui perché quieti ed in compagnia, decise di vendicarsi inviando sulla terra un’Anatra Magica che sputava fiamme. Per fortuna uno Spirito del Paradiso avvisò gli uomini dell’incombente pericolo e spiegò che rinchiudendo l’Anatra in gabbia non avrebbe più lanciato fiamme. Un uomo suggerì di catturare l’animale ed accendere fuochi d’artificio, piccoli falò e lanterne rosse; infatti, vedendo la terra rossa e sentendo i botti, l’Imperatore pensò che l’Anatra stesse facendo un buon lavoro e lasciò gli umani in pace. Da allora, la notte del quindicesimo giorno del primo giorno lunare, ogni famiglia appende alla porta una lanterna rossa di carta di riso o seta e le strade sono tutte illuminate.
E cosa dire poi del povero Qu Yuan, poeta del terzo secolo a.c. che s’affogò per protesta contro il governo incapace? A questo fatto è collegata la Festa delle Barche Drago (maggio). Secondo la leggenda Qu Yuan tentò di convincere il sovrano ad allearsi con gli altri regni, ma non fu ascoltato e nel 221 a.c. i Qin ebbero la meglio e conquistarono il Paese, ragione per cui Qu Yuan decise di togliersi la vita. Vedendolo affogare alcuni pescatori cercarono inutilmente di salvarlo e le donne prepararono polpette di riso racchiuse in foglie di loto (zongzi) con la speranza che i pesci le mangiassero al suo posto! Ancora oggi nei fiumi a sud del Paese s’organizzano competizioni su Barche Drago per simulare la ricerca di Qu Yuan, ma con l’esclusione delle donne ritenute non abbastanza forti per la gara!
La versione cinese della Ricorrenza dei Morti è la Festa della Luminosità Pura (aprile), come da noi la gente si reca ai cimiteri per commemorare gli antenati e, racconta Vivina, appende alla porta un ramo di salice per non diventare nella prossima vita un cane giallo… a volte i Cinesi peccano davvero di stravaganza eheh, ma non è finita… il Guiyue invece è il Mese dei Fantasmi (agosto) osteggiato persino dal governo; infatti, i devoti credono che durante questo periodo i fantasmi vengano sulla terra per alimentare le forze del male, altro che Halloween, si sconsiglia di mettersi in viaggio, sposarsi, trasferirsi in una casa nuova, celebrare funerali e se qualcuno muore in quel periodo, il suo corpo viene messo da parte ed il funerale con la sepoltura viene celebrato il mese seguente!
Un po’ meno macabra è la festa degli innamorati…


SAN VALENTINO ESISTE IN CINA?
E’ più facile saper fare una cosa, che farla.
PROVERBIO CINESE

Vivian ride a crepapelle quando racconto della Befana, di Babbo Natale e delle uova di cioccolata, chissà poi perché, ma diventa seria quando scopre che anche in Italia si donano fiori per la Festa delle Donne e San Valentino.
Seppure detesti tale festività sia in Italia che in Cina, forse anche perché mio nonno morì proprio il quattordici febbraio, devo però ammettere che la storia legata alla Festa dei Sette Ponti, San Valentino appunto, è meravigliosa. Trae origine dalla leggenda di due giovani innamorati: la figlia dell’Imperatore Celeste Zhinu ed il mandarino Niulang. Annoiata dalla vita sull’Olimpo Cinese, Zhinu scappò sulla Terra, divenne un’abile tessitrice, s’innamorò e sposò Niulang, ma quando Tiandi ne scoprì la fuga ordinò alle guardie celesti di riportargliela; disperato Niulang partì all’inseguimento s’un bue volante, ma giunto al Fiume Celeste (la Via Lattea) le guardie mutarono il carro in battello e Niulang fu costretto a fermarsi. Un giorno la Regina Madre dell’Occidente, vedendo Zhinu affranta dal dolore, convinse l’Imperatore ad autorizzare un incontro tra gli amanti una volta l’anno, per questo motivo, ancor oggi, il quattordici febbraio molte gazze con ramoscelli nel becco si levano in volo, raggiungono il Fiume Celeste e costruiscono un ponte che Zhinu e Niulang attraversano per scambiarsi parole d’amore e se piove… le gocce sono le lacrime degli innamorati! In ricordo degli amanti i Cinesi hanno addirittura dato il loro nome a due stelle: guardando la sponda orientale del Fiume Celeste si vede una piccola costellazione di cinque stelle (Vega), la maggiore fra queste è Zhinu, mentre di fronte c’è Niulang (stella Althair).
Josh mi chiede di festeggiare con lui San Valentino, ma rifiuto perché trovo davvero patetica la cenetta romantica a lume di candela in un ristorante, dove almeno trenta nel locale e milioni sulla terra sono le coppiette che ci imitano! I fidanzati cinesi il quattordici febbraio si recano al tempio e pregano per un possibile matrimonio, mentre i single bruciano incensi nella speranza di trovare l’anima gemella. Alcune donne fanno un test che consiste nel mettere sulla superficie dell’acqua un ago: se non affonda significa che il tempo è propizio per incontrare l’uomo giusto! Ho sempre ritenuto tali ricorrenze un espediente commerciale per muovere l’economia, ma ammetto che, tutto sommato, uniscono la famiglia e tingono la vita di magia. Dopo tutto, che male c’è a ricordare favole di poeti annegati, donne immortali, anatre che sputano fiamme, amanti s’un ponte di fiori?


NON POSSO VIVERE SENZA TE’
Meglio tre giorni senza sale che uno senza tè.
ANTICO PROVERBIO CINESE

Gennaio e Febbraio sono i mesi più freddi a Beijing. Un pomeriggio, Vivian ed io decidiamo d’andare a studiare in una tea houseaperta di recente vicino al Campus. Ci sono venti gradi sotto zero che penetrano nelle ossa e mettono l’ansia di prendere la ganmao, l’influenza che fa strage trasformando Beijing in un gigantesco ospedale. Ma c’è di peggio, a Hohhot nella Mongolia Interna si raggiungono cinquanta gradi sotto zero e l’inverno dura da settembre a maggio! La cubana Cheryl (ha studiato sul posto il mongolo per un anno!) racconta che una mattina le si è congelato il naso ed è rimasto blu per tre giorni!
Vivian oggi è particolarmente puntigliosa e devo ammettere che, dopo aver studiato con lei da quasi tre mesi ogni pomeriggio, a volte proprio non la sopporto. Ma non c’è da meravigliarsi, quasi sempre dopo aver frequentato assiduamente una o più persone mi capita di avere bisogno di un “break”, questo mi succede a volte anche con Josh e Sibille, le due persone a cui al momento voglio più bene, dopo i miei genitori e me stessa naturalmente. Questo è uno dei miei difetti: mi annoio facilmente. Mamma mia, come farò a trovare un uomo che riesca a non farmi annoiare?!
Comunque, seguito a studiare con Vivian perché i miei sacrifici inziano a dare i loro frutti: il mio mandarino migliora di giorno in giorno!
La sto per strozzare quando sedute in un tavolo accanto all’entrata della tea house, Vivian mi riprende mentre verso del tè verde nella tazza: “al nemico si riempie la tazza all’orlo, così se ne va appena finito, mentre all’amico se ne serve poco per volta, per fargli capire che non c’è fretta e si desidera stare con lui”. Inchinando la testa mi scuso e chiedo di parlarmi ancora del tè, che qui gode tanto prestigio quanto da noi il caffè. In realtà oggi ho la testa altrove e a dir il vero poi io detesto sia il caffè, a parte quello americano aromatizzato alla vaniglia e l’unico tè che adoro e bevo a litri è quello inglese earl grey aromatizzato al bergamotto. Mi spiace ammetterlo però oggi proprio non ho voglia voglia d’applicarmi, ma sono in Cina e voglio imparare il cinese, quindi anche se malvolentieri, apro il quaderno degli appunti e prendo nota… Vivian sottolinea che il tè inglese ha poco in comune con quello cinese e non solo per l’aroma: “voi lo bevete e basta, mentre qui è una forma d’arte, una medicina contro il cancro, anti-infiammatoria e germicida,  ricca di sostanze che aiutano i fumatori ad assorbire meno nicotina e gli obesi a perder peso!” Mamma mia, non sapevo che il tè cinese fosse un elisir di lunga vita! Vivian spiega che noi barbari lo “inquiniamo” con zucchero, latte, biscotti o uno spicchio di limone, quasi come i Mongoli che aggiungono sale e latte od i Tibetani che gli sciolgono dentro il burro di yak!
L’abitudine di bere tè passò dalla Cina al Giappone nel sesto secolo ed all’Occidente solo undici secoli dopo. Vivian racconta che già nel tremila a.c. Shen Nong, Imperatore noto per la medicina delle erbe di cui analizzava gli effetti ingerendole, mentre era in viaggio ordinò di bollire dell’acqua per berla, ma da un cespuglio caddero delle foglie secche che diedero vita ad un liquido delizioso di colore marrone …!
Lu Yu nel settecento ottanta  d.c. dedicò al tè persino il “Cassico del tè” (Chajing), un’opera di parecchi volumi che spiega tutto sul tè, comprese eventuali origini divine… si dice che Bodhisattva (predicatore nello Yunnan) meditò guardando un muro per sette anni senza dormire, poi s’addormentò ed al risveglio si stropicciò gli occhi facendo cadere alcune ciglia da cui nacquero le prime piantine di tè.
Ancor oggi i monaci Buddisti custodiscono piantagioni di tè, perché oltre ad aiutarli a restar desti nella meditazione, riempie la pancia, visto che mangiano solo riso, verdure e cereali, aggiunge Vivian.
Stabilita la superiorità del loro tè sul nostro… (ma ci sarà qualcosa in cui noi siamo migliori?) Vivian dice che preparare un buon tè verde non è facile, l’acqua non deve bollire ossidando le foglie e la bevanda deve rimanere chiara con un sapore leggermente amarognolo.
Indimenticabile è la cerimonia del tè a cui assisto una domenica con Josh nel negozio di tè davanti alla Farmacia Tongrentang aQianmen. Prima le xiaojie (inservienti) puliscono l’interno della teiera riempiendolo con foglie ed acqua bollente, lasciano a riposo per qualche secondo, poi scaldano le tazze versando acqua bollente fino all’orlo, dopodiché buttano via l’acqua, mettono altre foglie nella teiera, lasciano in fusione e riempiono le tazze con movimenti circolari affinché in ognuna il tè abbia lo stesso sapore, gusto e colore. A questo punto inizia la cerimonia: il tè non và deglutito d’un colpo, ma sorseggiato gustandone profumo e sapore.
E così, parlando del tè, se ne va alla fine un altro pomeriggio del gelido inverno pechinese.


I MISTERI DELLA CITTA’ PROIBITA
Senza uscire dalla porta, conoscere il mondo!
Senza guardare dalla finestra, vedere la via del Cielo!
Più lontano si va meno si conosce, perciò il santo conosce senza viaggiare, nomina le cose senza vederle, compie senza azione.
DAODEJING di LAOZI

Secondo una nota giornalista dedicata all’Asia Orientale, “la Cina non è mai stata un paese fra gli altri paesi, ma l’Universo” e non a caso i Cinesi la chiamano Zhonguo, cioè Regno di Mezzo. Tale equivalenza, “Cina centro del cosmo”, si ripete in “Pechino centro del cosmo” e a sua volta il cuore di Pechino, come nelle scatole cinesi, diventa l’ulteriore centro dell’Universo.
Procedendo nel concetto delle scatole cinesi, nel cuore di Beijing troviamo la Città Proibita: una vera città in miniatura con strade, teatri, biblioteche, giardini, magazzini, templi, cucine, quartieri del sovrano (rigorosamente al centro della città e quindi del cosmo), delle imperatrici, delle dame e delle concubine. E’ Proibita perché in epoca imperiale era inaccessibile alle persone comuni e persino ad alti ministri ed ufficiali sprovvisti di lasciapassare.
La vita tra le quattro mura era sancita da rigide norme, per esempio nell’epoca imperiale (617-907) il codice prevedeva settanta colpi di bastone come pena minima per coloro che venivano scoperti in città senza autorizzazione. La vigilanza era ferrea e ben organizzata: “quando il sole cadeva si battevano otto colpi di tamburo e si chiudevano le porte; a partire dalla seconda vigilia della notte, i commissari di polizia organizzavano ronde con soldati a cavallo, mentre i militari vegliavano in silenzio ed alla quinta vigilia si battevano i tamburi perché si propagasse il rumore e solo allora si riaprivano le porte dei quartieri e dei mercati”.
Nonostante ciò, doveva essere affascinante vivere nell’Impero Celeste con i “Figli del cielo”, Tianzi. Cito da uno scritto trovato suinternet: “il Cielo (Tian) inviò nelle varie epoche e nei diversi luoghi della civiltà umana i suoi figli come messaggeri, questi “Figli del Cielo” ebbero il compito di ricondurre l’uomo alla legge originaria riavvicinandolo alla volontà dell’Imperatore Celeste, vale a dire al Cielo”. Analogamente, il Confucianesimo recita: “come la natura prevede eventi importanti per il genere umano, così quest’ultimo influenza il corso della natura” o più semplicemente, se sul trono Imperiale si trova un uomo virtuoso, questi porterà pace e prosperità, in caso contrario l’Impero attraverserà una fase di disordine ed anche Madre Natura le si rivolterà contro con piogge abbondanti o scarse, fiumi straripanti o secchi e così via.

Come scrisse il Leopardi “lingua mortal non dice quel ch’io sentiva in seno”, così faccio fatica a descrivere l’emozione ed il senso di perfezione provati in questo luogo. Come la luna ispira poeti di tutto il mondo, così la Città Proibita rende consci della piccolezza umana al cospetto universale e sottolinea la precarietà della vita nel trascorrere del tempo.
Entro emozionata per la prima volta nella Città Proibita con Maliau. C’è da perdersi: è immensa, lunga novecento e larga settecento metri!
Maliau racconta vicende singolari sulla Città Proibita e sulla vita degli Imperatori, è un bravo ragazzo, anche se un po’ “secchione” con occhiali tondi alla Cavour, ha quell’espressione da tedesco sempre sull’attenti e la straordinaria capacità di memorizzazione e fornire dati con esattezza, ragione per cui partendo da Adamo ed Eva, dice che i lavori iniziarono nel mille e quattrocento quando il governo di Yongle trasferì la capitale da Nanchino a Pechino e terminarono quattordici anni dopo; leggende raccontano che un milione d’operai e più di centomila artigiani vi presero parte ricorrendo a materiali decorativi inusitati a base di limoni, riso, glutine e bianchi d’uovo!
Il giallo è tinta dominante del Museo e fu scelto dal Primo Imperatore come parte del suo nome, nonché simbolo della famiglia reale; decorazioni, iscrizioni e tetti sono dorati, tranne quello nero della Biblioteca, colore dell’acqua che caccia il fuoco. Camminando col naso in su, Maliau indica ad ognuno dei quattro lati dei tetti un uomo seduto s’una gallina, con draghi od altri animali al seguito e spiega che, dopo aver rubato, quest’uomo fu condannato per l’eternità a fare la guardia…!
Maliau s’è documentato persino su come trascorrevano le giornate i Tianzi. Non s’occupavano solo di questioni politiche ed amministrative, ma anche culturali: oltre ad essere abili calligrafi e conoscere a memoria i testi classici, studiavano filosofia confuciana, matematica, medicina, astronomia e geomanzia. Il tempo libero era dedicato al divertimento, suonavano il qin (cetra a sette corde), giocavano a scacchi e rincorrevano gli aquiloni, hobby ancora attuale… quanti papà la domenica giocano con i figli aTiananmen facendo volare enormi aquiloni ad altezze vertiginose.
Secondo Sibille, Maliau ci sta provando con me… perché mi porta persino in un ristorante nel Parco Beihai che, pur ripulendo il portafoglio, permette d’assaporare specialità amate dagli Imperatori come il wotou, pane squisito fatto con farina di mais e servito da cameriere che indossano costumi d’epoca. Si dice che negli anni ottanta un gruppo di chef pechinesi recuperò le ricette dalla pasticceria imperiale e cercò il fratello dell’ultimo Imperatore per collaudare i piatti!
Ovviamente in epoca imperiale un eunuco assaggiava prima del sovrano ogni portata e metteva un pezzo di ferro nel cibo per controllare che non cambiasse colore, in tal caso era avvelenato. Non esistendo cani perché venivano fritti, erano le concubine a mangiare gli avanzi, le stesse fanciulle con cui il Tianzi trascorreva le notti.
A grandi linee le nottate degli Imperatori funzionavano così, spiega Maliau: “terminata cena e preghiere, l’Imperatore sceglieva la donna della notte che non potendo né restare fino all’alba nel suo letto (per non infastidirlo), né tornare nei suoi appartamenti (svelando la durata della prestazione imperiale), trascorreva ciò che rimaneva della notte in stanze laterali. Entrando nel dettaglio, ilTianzi coabitava con la Prima Moglie solo una volta al mese, quando la sua potenza virile aveva raggiunto il culmine grazie alle frequenti unioni con le donne di rango inferiore e quando, di conseguenza, c’erano maggiori possibilità che questa concepisse un erede al trono”.
Se una moglie veniva scoperta in relazioni illecite era impiccata, ma se si comportava bene usufruiva di vari vantaggi e fra questi la meticolosa opera della serva che massaggiava i piedi prima di trascorrere la notte con l’Imperatore! Le concubine, che perlopiù provenivano da famiglie umili, erano dunque donne con privilegi, vivevano nella Città Proibita, indossavano bei vestiti, erano servite e riverite, ma i loro frequenti suicidi lasciano intendere che tutto ciò fosse poca cosa a confronto delle probabili umiliazioni cui erano sottoposte!
Sono dubbiosa. Non vedo motivi validi per ritenere la donna cinese meno felice né più infelice delle sue consorelle occidentali che vivevano secondo il sistema monogamico, lo stesso vale per il capofamiglia cinese da non considerarsi più felice del suo omologo occidentale che aveva diritto ad una donna soltanto.
Oggi è diverso, la poligamia in Cina non esiste più, anche se i maschi la rimpiangono, “ad un uomo s’addicono quattro donne, come ad una teiera s’adattano quattro tazze” pensano. Non si può criticare un Popolo che sintetizza l’amore così: “per un leone affamato andrà bene un coniglio, se non c’è niente di meglio, ma dopo averlo mangiato caccerà una zebra”. Che desolazione!
“A me però la Città Proibita non è piaciuta, anzi l’ho trovata brutta, irreale come può esserlo un villaggio deserto” dice Salomon, un amico di Città del Messico. Secondo lui, strade ed edifici, molti dei quali mal tenuti con pezzi d’intonaco che viene giù, hanno l’unica funzione d’illustrare la storia d’un Impero scomparso e sono una truffa come la maggior parte dei tentativi di ricreare la storia! Neppure le sfarzose decorazioni imperiali vanno bene, eccessive e kitch lottano per occupare ogni centimetro di tappeto o soffitto. Poi si calma e riconosce: “beh forse la penso così perché nella Città Proibita mi sento non solo straniero, ma come estraneo. Odio la disciplina, la tristezza e la violenza che un tempo la governavano”. Fa riferimento all’ignobile trattamento che spettava agli eunuchi. Su internet leggo: “…sono scomparsi i mendicanti che s’accalcavano alle porte e non ci sono più le cliniche dei chirurghi che castravano i futuri eunuchi arrivati qui di propria volontà o trascinati dai genitori e dai trafficanti di bambini; poi, i chirurghi rivendevano agli eunuchi i loro attributi sessuali perché, se fossero stati seppelliti senza, non si sarebbero reincarnati in un essere maschile!”. Pare che tale operazione fosse alquanto rudimentale, con un sol colpo di coltello si asportava sia pene che scroto, e sebbene la percentuale dei decessi ammontasse solo al sei per cento, molti di questi soffrivano d’incontinenza cronica della vescica e di altre malattie. Di natura altezzosi, diffidenti, suscettibili, senza baffi né barba e con la voce da donna, potevano diventare però potenti, perché essendo molto più vicini all’Imperatore di ministri e funzionari, erano a conoscenza di ogni affare di Stato e potevano, tramite la mediazione dell’Imperatrice e di altre donne dell’harem, influenzare l’Imperatore al fine di favorire i loro interessi privati. 


LA MAGIA DEL GIARDINO DOVE SI COLTIVA L’ARMONIA
Non potresti trovare la fine dell’anima neanche se viaggiassi ovunque, tanto è profondo il logos.
ERACLITO

In estate a Pechino si raggiungono quaranta gradi con il cento per cento d’umidità, in passato il clima era analogo e l’Imperatore con la corte si rifugiava nel romantico “giardino dove si coltiva l’armonia” meglio noto come Palazzo d’Estate: una reggia dove perdersi nella natura e nei propri pensieri! Costruito nel millesettecento dall’Imperatore Qianlong in occasione del sessantesimo compleanno dell’Imperatrice Cixi (sua madre), oggi è un parco meraviglioso per turisti e scampagnate domenicali. Io ci vado più volte, è splendido in ogni stagione,  anche se lo preferisco d’inverno con i pattinatori che danzano sul Lago Kunming ghiacciato, unica pecca è il freddo glaciale che penetra nelle ossa, meno trenta gradi!
Visito il Giardino la prima volta in autunno da sola e noto come la solitudine favorisca il “sintonizzarsi” col paesaggio ed acuisca la percezione dei dettagli.
Guardando il Palazzo nel suo insieme, sono colpita dall’armonia con cui le opere dell’uomo s’integrano con la natura ed in particolare con lo scenario del Lago e la Collina della Longevità dando all’insieme un sublime senso di bellezza e pace.
Sulla sommità della Collina sorge la Pagoda dell’Incenso Buddista dove pregavano gli Imperatori, da qui scatto fotografie all’impazzata che ancora regnano sovrane nella mia stanza a Torino, uno dei tanti doci ricordi di questi nove mesi “dapaiura”.
Seneca, Laozi e Socrate erano contrari a viaggiare, ma io lo ritengo indispensabile, quanto meno per ampliare la propria visione della vita, costruire una scala di valori “assoluti” e capire ove invece sono applicabili quelli “relativi”.
Con questi ragionamenti in testa ed una strana emozione nel cuore, cammino per i giardini, ma temo di non aver sensi a sufficienza per catturare certe splendide visioni e fissare indelebilmente ciò che sfioro col subconscio.
Purtroppo, vengo distratta da qualcuno che con inglese stentato mi sottopone al solito interrogatorio, da dove vieni, ti piace la Cina, quanti anni hai, e… chiede di scattare una foto assieme. E’ una cosa che non sopporto, dovrei fare come l’africano d’un noto romanzo che va in Francia a ricercare l’anima rubatagli da un turista con la “macchinetta acchiappafacce”.
Un’altra opera da immortalare ed appendere in camera è l’incantevole Barca di Marmo, lunga trentasei metri, fatta costruire dall’Imperatrice Cixi con i fondi in realtà destinati alla realizzazione d’una nave da guerra. La barca non è di marmo come dice il nome ma di legno, mentre solo la vernice bianca che la ricopre fa pensare al marmo; bruciata dall’esercito anglo-francese e ricostruita nei primi del millenovecento, simboleggia la stabilità della dinastia Qing ed ha come motto un saggio proverbio cinese: “la medesima acqua può sostenere od affondare una nave”.
Anche la mia adorata noni paterna adorava osservare il giardino da qui; lei e mio nonno, fotografo e produttore di film per passione, furono tra i primi Occidentali ad avere il permesso d’entrare in Cina negli anni cinquanta ed insieme visitarono non solo questo Paese, ma gli angoli più sperduti del pianeta, a volte rischiando anche la vita. Rispolverando lontani ricordi, noni Adriana dice che sotto il Grande Cancelliere Mao tutto dipendeva dal Partito, per strada c’erano solo biciclette e rare macchine dello Stato, gli alberghi erano pochi anche a Pechino ed ospitavano soprattutto uomini politici e rari stranieri. La Barca di Marmo è il suo ricordo più caro della Capitale, ebbe la sensazione d’averla già vista da qualche parte, in sogno o in un’altra vita; racconta che stava camminando con il nonno quando all’improvviso si fermò dietro l’angolo che separa dalla Barca, chiuse gli occhi ed una strana sensazione la pervase, quando li riaprì quasi si spaventò, già sapeva che dietro quell’angolo avrebbe visto la Barca di Marmo, era già stata qui!?
Dopo aver ammirato la Barca di Marmo, m’incammino nel celebre Corridoio lungo settecento metri, con quattro padiglioni ottagonali che costruiti ad intervalli regolari simboleggiano le quattro stagioni. Perdo la concezione del tempo osservando alcuni degli ottomila dipinti raffiguranti paesaggi, uccelli, fiori e scene di battaglie tratte dai romanzi classici come il “Pellegrinaggio verso Ovest” o “I Tre Regni”.
Infine, concludo la visita curiosando tra le botteghe della Strada di Suzhou, fatta costruire da Qianlong in onore del compleanno della solita mamma settantenne, lasciando così che le emozioni della giornata si smorzino a poco a poco.

IL TEMPIO DEL CIELO
Una pesante nevicata scompare nel mare. Che silenzio!
DETTO ZEN

L’Imperatore viveva tra il giallo della Città Proibita, il verde del Palazzo d’Estate e l’azzurro del Tempio del Cielo (Tiantan), il resto della città non esisteva, strade, case ed abitanti erano color polvere: pare infatti che l’Imperatore percorresse la strada tra la Città Proibita ed il Tiantan senza guardarsi attorno perché vedeva solo polvere…!
Al Tempio seguiva i rituali di “unione con gli antenati”, “conservazione dell’armonia tra Cielo e Terra” e due volte l’anno, al solstizio d’inverno e d’estate, si presentava come portatore dei peccati dell’umanità offrendo sacrifici al Cielo perché, senza questa cerimonia, il benessere della Nazione sarebbe stato in pericolo e banali inconvenienti durante il rito erano già di cattivo auspicio.
Durante il trasferimento al Tempio era proibito anche solo sbirciare il corteo Imperiale, i sudditi restavano in casa e mettevano gli scuri a porte e finestre, le strade erano sbarrate con pesanti tendaggi blu ed ogni traffico veniva interrotto, nessun rumore doveva turbare il silenzio della cerimonia! Questa era la Cina del passato!
Oggi fiumane di visitatori si recano in questo angolo di paradiso per trascorrere un pomeriggio a contatto con la natura ed in santa pace. Ci sono anch’io, con macchina fotografica al collo ammiro le costruzioni del Tiantan, hanno corpo rotondo con base quadrata secondo l’antica credenza che il Cielo è tondo e la Terra quadra. Scatto parecchie foto all’ Altare Circolare che incuriosisce per i contenuti simbolici pensati da architetti, astrologi e geomanti, per esempio non sono causali le tre rampe di nove scalini ed i blocchi di marmo della piattaforma disposti in nove cerchi concentrici. Il nove è un numero magico in Cina: i Cinesi dividevano il Cielo in nove sezioni, avevano nella bussola nove punti principali e nove è il maggiore dei numeri ad una cifra. Il nove poi in cinese si pronuncia jiu come longevità e forse per questo nella Città Proibita c’erano 9.999 stanze!
Quando arrivo alle Pietre dai Tre Suoni salgo sulla prima e batto le mani, il suono echeggia una volta, quando le batto sulla seconda l’eco si raddoppia e sulla terza si triplica! Arrivo in un altro angolo di paradiso, il Palazzo di Preghiera per i Buoni Raccolti che col tetto blu ben s’armonizza sulla grande terrazza di marmo a tre piani simbolo di Uomo, Terra e Cielo; le simbologie tornano anche al suo interno, i quattro pilastri centrali rappresentano le stagioni, i dodici del secondo anello indicano i mesi ed i dodici esterni rappresentano la ripartizione del giorno in dodici ore.
I pilastri lignei sostengono il soffitto senza chiodi né cemento, un’opera d’ingegneria se si considera che l’edificio è alto trentotto metri con diametro di trenta! Con un po’ d’immaginazione c’è persino chi vede in questa costruzione un ufo in partenza per lo spazio, questo è il mio boy Josh…
Come altre civiltà i Cinesi vantano una storia millenaria, ma a loro differenza pare abbiamo anche un grande futuro, ecco in proposito una frase di Deng Xiaoping: “il diciannovesimo secolo è stato dell’Inghilterra ed il ventesimo degli Stati Uniti, il ventunesimo sarà dei Cinesi!”. Lo spero con tutto il cuore… così almeno non sarò disoccupata!


LE MIE GIORNATE A BEIJING
Vedere con i propri occhi è meglio che leggere mille libri.
PROVERBIO CINESE

Siamo a maggio e sono arcicontenta di aver posticipato la partenza di così tanti mesi.
E’ difficile da spiegare, ma prima di andare in Cina non credevo la felicità esistesse, intendo dire come condizione perpetua, credevo solamente agli attimi, ai secondi di felicità ed invece mi sono dovuta ricredere. La felicità esiste, eccome se esiste e può durare anche più di cinque minuti, ma mai più di un anno, forse!
La Cina mi dà una serenità che rare volte ho provato! A dire il vero le giornate si articolano sempre allo stesso modo: dalle otto alle dodici lezione, a mezzogiorno pranzo, nel pomeriggio quattro ore di studio con le mie yuban Vivian e Meili, corso di economia pomeridiano il martedì ed il giovedì, yoga e danza del ventre in palestra cinque volte la settimana, studio al Sammie’s fino a tardi, chiacchierata al Blablabar e poi relax davanti alla televisione prima di andare a dormire. Sembra monotona come vita, ma non lo è affatto, anzi la notte ancora oggi a volte non riesco a prendere sonno ripensando alle mie uniche ed irripetibili giornate cinesi! E pensare che mi consideravo già una ragazza ipercinetica a Torino… qui ho l’impressione di vivere non una ma tre vite contemporaneamente, sessanta minuti in un’ora sembrano non bastare mai!
L’unica nota dolente resta la cucina… ma come puoi Malini amare un Paese di cui detesti la cucina? Chi lo sa, la Cina piace anche forse per questi rebus. Forse sarebbe stato più sensato studiare giapponese, visto che vado matta per miso, tofu, tempura, soba, sashimi e sushi… però temo avrei resistito poco in quella terra “tremante” e non avrei sopportato quella banda di pazzi che non da un nome alle strade, s’appassiona agli incontri di sumo, legge una pagina di fumetti manga in tre secondi, va al mercato alle quattro di mattina, vive in abitazioni alveare, si diverte nei love hotels, pulisce maniglie con fazzoletti prima di toccarle, usa garze disinfettate sui telefoni e penne intrise in soluzioni antibatteriche…!
A proposito dei lottatori di sumo hanno scritto: “montagne di carne da duecento chili e divi nazionali quando diventano campioni, sono prodotti d’allevamento risultato d’una spietata dieta all’ingrasso”. E sui love hotels: “sono alberghi dai nomi di luoghi lontani dove le coppiette trascorrono ore indimenticabili, in uno di questi i letti sono gondole che ondeggiano e c’è persino un gondoliere di cartapesta chino ad osservare le evoluzioni della coppia; in un altro i letti sono a forma di Rolls-Royce che vibrano, s’alzano e s’abbassano”.
Ma non sono in Giappone, quindi nel Campus non trovo sashimi e sushi da mangiare. Per fortuna però a parte la mensa cinese, c’è anche un ristorante arabo, uno giapponese, molti coreani con cibi piccantissimi ed alcuni occidentali dove gustare ottimi panini,cookies ed una specie di pizza spessa cinque centimetri con ananas, prosciutto, ketchup e tabasco! Forse per la dieta, sarebbe stato meglio amare il cibo cinese… avrei almeno abolito burro e altri grassi saturi!

LAVORARE IN CINA
Chuangzi ed un amico camminavano lungo il fiume. ”Come se la passano gioiosamente i pesci nell’acqua!” esclamò Chuangzi. ”Tu non sei un pesce, come fai a sapere se i pesci se la spassano o meno?” replicò l’amico.   ”Tu non sei me”, disse Chuangzi.  ”Come fai a sapere che io non so che i pesci se la spassano?”
CHUANGZI

Se il mio refugium peccatorum diurno è la palestra, quello notturno è il mitico Blablabar, dove i laowai si trovano per parlare, scherzare e cantare. Qui conosco persone indimenticabili, gente che non vive solo per soldi, sesso e potere, ma ha ideali, valorizza i dettagli, vive senza formalità o finzioni.
Per esempio, stringo amicizia con Rosamunde, figlia del re di uno degli Stati dell’Africa del Sud che soffre per il nugolo di guardie del corpo che la controllano, mi confida: “sono scappata in Cina per respirare un po’ di libertà, perché in Africa non posso uscire da Palazzo e m’annoio a morte”. Ci sono anche personaggi particolari come Mustafà, bellissimo “modello” marocchino ed il Musulmano Amin, sempre ubriaco di birra e grappa cinese. Si vede anche qualche occhio a mandorla, perché “al Blablabar con voi laowai c’è da divertirsi”, così dice Tingting, uno dei tanti Cinesi che mitizza noi “barbari” definendoci tutti “party-animals” (festaioli).
Al mio gruppo di amici piace chiacchierare fino all’alba, spesso a casa di Brendan (Casa Welsh), seduti su un semplice tappeto, con due cookies, una tazza di caffè all’italiana (la caffettiera è un lusso) e una ventina di birre Qingdao… i ragazzi Usa bevono come spugne. Casa Welsh è abbastanza grande, un centinaio di metri quadrati con due stanze da letto. E’ parte del contratto: Brendan insegna ai Cinesi inglese e storia americana quattro volte la settimana per due ore e l’Università gli offre quest’alloggio insieme ad uno stipendio di mille kuai al mese.

In Cina è piuttosto facile lavorare per noi laowai, se poi si parla cinese e si possiedono professionalità tecniche, si trovano impieghi ben retribuiti, secondo i parametri cinesi ovviamente.
Padroneggiando il mandarino sono tra le elette, mi viene offerto un posto in un’impresa import-export con la Spagna (parlo anche spagnolo) con stipendio cospicuo ed alloggio a Sanlitun, ma rifiuto dopo essermi consultata con i genitori e concludo che scopo primario di questo soggiorno è lo studio, non il lavoro. Nonostante ciò non trascuro le offerte che ogni tanto arrivano perché, dopo lo studio, sogno di lavorare in Cina! Ma sono pronta a lasciare tutto per ricominciare da zero in un posto dove sarò sempre un marziano? Sì, almeno lo credo, ora che ribollono in me le energie giovanili! Non è escluso comunque che una volta vissuto per un po’ in Cina, poi a trent’anni cambi idea e decida di piantare le radici in Italia!
Brendan spiega che però insegnare in Cina è una cosa seria davvero, tanto che i laowai sono controllati dalle PSB (Ufficio di Pubblica Sicurezza). Noi barbari potremmo essere un pericolo per la società cinese, una “contaminazione spirituale”: abbiamo il divieto di parlare di politica/religione ed aver contatti con gli studenti al di fuori dell’aula scolastica e quando qualcuno ci viene a trovare deve registrare alla reception nome, numero d’identità e scopo della visita. Per adesso la Cina è così, ma cambierà presto.
laowai, grazie agli “occhi tondi”, sono richiesti anche per servizi pubblicitari, è il mio caso… mentre studio al Sammie’s, il bar ove il pomeriggio si finge di studiare, una fotografa di moda cinese mi chiede di posare per lei, accetto e due settimane dopo una mia foto viene pubblicata s’una rivista, ahimè, per un misero contributo di cento kuai! Ma non sono tutte sfortunate come me, il bel Alle per esempio, milanese, laureato in economia alla Bocconi, intraprende la carriera di “modello”, in breve tempo arriva a guadagnare trecento kuai per foto! In effetti è bellissimo per noi Italiane… figuriamoci per le Cinesi abituate ai loro ometti, panzoni e poco galanti!
Altro divertente passatempo è “andare in televisione”, non sto scherzando, una volta sono apparsa in tv per reclamizzare nuove tute di una nota Casa di vestiario sportivo: un pomeriggio un ragazzo cinese convince me ed altri cento laowai a lavorare per lui un paio d’ore! Appena arrivati ed esserci presentati in cinese, ci spiegano cosa fare: indossando tute da ginnastica, ci muoviamo a tempo di musica e pronunciamo una frasetta cinese; fin qui tutto bene, peccato che al momento di pagarci, dei ducento kuai promessi ce ne vengono dati solo cento, allora alcuni chiamano la polizia, altri alzano la voce ed io vado via, non è certo una novità che tra i Cinesi ci siano truffatori e… di peggio! Sì purtroppo i maniaci esistono anche in Cina… Sibille, quattro sue compagne ed io accettiamo di fare un provino per un film; ah, che idea idiota, è tutta una truffa, non esiste alcun film, ma è un tentativo per vedere se noi femmine dell’Ovest siamo facilmente “abbordabili!” Non entro nei particolari, ma mi son spaventata a morte, non so come ho potuto essere così irresponsabile?! Questa volta è andata bene!


CASA WELSH
Sono sbalordito dalla gente che vuole conoscere l’universo quando è già difficile non perdersi nel quartiere cinese.
WOODY ALLEN

Ho nostalgia di Casa Welsh, delle festicciole di Natale, Capodanno, Pasqua, compleanno e delle interminabili chiacchierate; la casa è un via vai di volti che neppure Brendan conosce, ma è anche il rifugio di pochi intimi, io sono fra loro, quattro amici veri: Sibille ed i tre “American boys” Josh, Steven ed ovviamente il padrone di casa, Brendan. Di solito non ho feeling con gli Americani, ma loro sono diversi ed il legame creatosi è forte, condividiamo emozioni belle e brutte, corriamo l’uno dall’altro per raccontarle, scopriamo il mondo. Insomma Casa Welsh è molto simile ad una “navicella spaziale” tutta nostra con cui, noi astronauti, prendiamo il volo verso galassie sconosciute. Thank you guys, grazie ragazzi, forse avete contribuito a rendere magica questa vita a Pechino!
Una sera proprio a Casa Welsh, dopo la visione di “le ali della libertà”, fissiamo in silenzio la mappa del mondo appesa in salone quando Brendan, indicando l’Italia, dice: “un tempo i Romani erano i padroni della Terra, ma oggi lo è l’America e domani forse la Cina”, poi si rabbuia e col dito su Washington chiede: “anche noi ci distruggeremo con le nostre mani, come voi Romani?”. Seguendo i voli del pensiero che vaga senza regole, cambia argomento e si congratula con noi Europei per aver fuso il latino con le lingue germaniche e dato vita all’inglese, “non sarebbe bello parlare tutti la stessa lingua?” salta su Steven, che crede possibile immedesimarsi nella psicologia d’un Popolo solo conoscendone la lingua, non a caso Steven parla un numero esorbitante di idiomi.
Vivendo in un ambiente internazionale spesso parliamo di curiosità linguistiche e stupiamo quando il nostro amico Xiao svela un particolare: le scritture ideografiche cinese e giapponese organizzano il pensiero rendendo più attivo l’emisfero cerebrale destro!
Meditiamo spesso anche dei differenti significati che hanno le stesse parole in lingue diverse ed è proprio durante uno di questi discorsi che, mancando pochi giorni al Capodanno, decidiamo di riservare un tavolo al ristorante, ma non sapendo il numero di telefono, chiedo a Josh di passarmi le “yellow pages” e… tutti scoppiano a ridere! Infatti, negli Stati Uniti le “pagine gialle” sono le riviste pornografiche, non l’elenco telefonico! Il giorno seguente, chiacchierando con Vivian, sono di nuovo protagonista d’una simile incomprensione: domando se in Cina esistono gli spettacoli a “luci rosse”, ma lei non capisce, poi spiega che da loro le luci del sesso sono gialle, mentre in America sono blu. Mamma mia quante sono le cose che non so ed ignorerò per sempre! Non demoralizziamoci, ho vent’anni, una vita m’attende con avventure, mondi da scoprire, esperienze da vivere, persone da contattare, uomini da stimare finché la sete di sapere e la molla della curiosità mi sproneranno. Spero di essere piena di vita per sempre come mia noni che all’età di settant’anni ha ancora l’entusiasmo di viaggiare, andare in palestra, all’Università serale della terza età, in piscina, a teatro, al cinema…
Tornando a quegli occhi puntati sulla cartina… Steven dice: “voglio tornare in Italia per rivedere quei reperti storici che mancano a noi Americani… e poi, che appetito quando penso ai vostri spaghetti!”. Come lo capisco, dopo aver sperimentato il modo con cui cucina le fettuccine: butta pasta e sugo prima che l’acqua bolla, poi, quando tutto è stracotto, scola e lascia insipido….! Brendan tenta di provocare me e Sibille in un confronto America-Mediterraneo: “certo che voi della CEE siete piccoli, ma combinate grossi problemi e voi dell’Estremo Oriente inventate religioni per ammazzarvi l’un l’altro”. Sibille ribatte: “perché i gradi Celsius per voi sono Farheneit, i centimetri pollici, i metri miglia, perché difendete simili differenze, forse per misurare fino a che punto il vostro potere ostacola il diffondersi del sistema metrico, voi non siete il mondo, ne siete solo parte?!”. Pacato, il mio boy Josh smorza i toni: “perché non le usate anche voi, sono così facili e poi, anche il Regno di Mezzo ricorre a misure simili, un metro corrisponde a trechi cinesi, un chilometro a due li ed un chilogrammo a due jin“.
Poi arriva la temuta domanda che spiazza a loro favore: “Lolla, sei mai stata in America? Non è divina?”. Chi l’ha mai messo in dubbio, ricordo i magici pattinatori del Rockfeller Center di New York, le sovraffollate vie di Miami, il glamour di Beverly Hills, la riposante Keywest, le giostre di Disneyland e San Francisco la mia città preferita, ma piace anche la Cnn, il Boss alla radio, gli hot-dogs, le big salads con salsa thousand islands, l’aria di festa quasi ovunque. Steven, ringalluzzito ed ingenuo come molti compatrioti, ricorda le misteriose morti di James Dean, Elvis Priesley, Jhon Fitzerald Kennedy e Marilyn tentando di dare all’America anche un velo di mistero o misticismo…!
Josh cita l’orgoglio americano per la bandiera a stelle e strisce esposta ovunque dalla gente comune, un sentimento sconosciuto in Italia. Ci parla anche delle high school: “negli States a diciott’anni, in base alle possibilità economiche, si decide tra Università e lavoro, la prima grande scelta o costrizione… “, afferma Josh. “…di solito, il benestante continua a studiare e si trasferisce inCampus universitari per tre o quattro anni fino alla laurea, ma le Università più prestigiose come Yale ed Harvard o Berkeley eStanford costano un minimo di ventimila dollari l’anno e gli studenti o sono figli di papà o geni che hanno la fortuna d’essere stati notati ed usufruiscono quindi di borse di studio”. Steven scocciato lo interrompe: “ho vissuto a L.A. (Los Angeles) un paio d’anni e credetemi le high school californiane sono un inferno, i bagni femminili diventano centri di bellezza, quasi tutte si portano trucchi,phon e persino magliette di ricambio; odio la città degli angeli, altro che angeli, sono tutti snob indemoniati che sanno solo spendere..”
Invece, Josh non ha dubbi, la perla degli States è Frisco (nome affettuoso per San Francisco), scaldata dal sole tutto l’anno, cosmopolita, libera, con splendidi murales, mille quartieri d’emigrati come Little Italy e China Town e persino la leggendaria prigione. Ognuno vive come meglio crede, barboni, hippy, punk, gay, uomini di colore, tutti sono liberi. Ma non fu sempre così, per esempio, durante la seconda Guerra Mondiale, spiega Josh, agli omosessuali era vietato l’arruolamento per evitare storie d’amore tra i soldati!
Anche i Cinesi d’oggi sono razzisti, classificano gli uomini di colore come servi, razza inferiore e gli omosessuali come diversi, né veri uomini, né vere donne; di “diversi” ne abbiamo anche nel Campus, per esempio Baby e Kathy, due tedesche che si fidanzano come il pechinese Yang con Willy, bellissimo ragazzo Californiano. Ed è proprio un amico di Yang a dirmi che si è tentato di guarire “la razza degli omosessuali” incarcerando l’interessato per un paio d’anni e sottoponendolo a scariche elettriche, si considera che l’omosessuale causi disordine all’ordine sociale!
Non sono d’accordo, è bello l’amore tra due persone, siano esse etero, omo, bianche, nere, gialle, rosse, che cosa importa?


SI VEDE DALLA LUNA?
Studiare intensamente ed avere una volontà ben salda, formulare domande su questioni importanti, riflettere su quelle che ci riguardano. L’elevazione spirituale consiste anche in questo.
CONFUCIO

La maestra della quinta elementare chiede: “Lorenza qual è il posto più lontano nel mondo?”,  arrossendo (da bambina ero molto timida), medito un po’ e rispondo “la Grande Muraglia Cinese”… già allora pensavo alla Cina, ma non immaginavo che il mio futuro sarebbe dipeso da questo Paese, così esotico e lontano.
Oggi come allora, continuo ad immaginare la Grande Muraglia come il luogo più lontano della terra, ecco perché, giunta qui la visito due volte, ad ottobre e gennaio. Gli eterni entusiasti come Josh descrivono questo gigantesco serpente splendido in ogni stagione: in autunno insinuato tra il giallo delle foglie, in inverno strisciante sul bianco della neve, in primavera ed estate ricoperto di fiori. In realtà, è visitabile solo nel clima mite dell’autunno, perché nell’inverno il vento gelido fa morire assiderati, in primavera le tempeste di sabbia impediscono di tenere gli occhi aperti, mentre d’estate calore ed umidità fanno quasi perdere i sensi.
Visito la Grande Muraglia per la prima volta ad ottobre durante una gita scolastica con la classe perché, come dicono i Cinesi “non sei uomo finché non scali la Grande Muraglia”, Vivian dice che visitare la Muraglia è un obbligo per i Cinesi, così come i MusulmaniHadji devono recarsi alla Mecca almeno una volta nella vita.  Alle sette di mattina io con alcuni miei compagni ed altri studenti di altre classi tra cui Sibille, Steven, Josh e Brendan partiamo in bus dal Campus diretti verso Badaling. Durante il tragitto mentre Josh riposa sulla mia spalla perché la sera prima abbiamo festeggiato il compleanno di Steven fino a tardi, la Professoressa Wang racconta che la Muraglia è lunga cinquemila chilometri, alta otto e larga nove metri, fu costruita duemila anni fa durante la dinastia Qin (221 a.c. -206 a.c.) per difesa dalle popolazioni barbare del nord. La volle lo stesso perfido ed egocentrico Primo Imperatore, citato dalla mitologia come essere metà uomo e metà divino, che fece bruciare tutti i testi precedenti e seppellì vivi studiosi e colti che avevano idee contrarie alle sue. Oltre l’indimenticabile esercito di terracotta a Xian, merito suo rimane la Grande Muraglia, opera immane portata a termine da decine di migliaia di lavoratori, un quinto dell’intera popolazione attiva dell’epoca.
Giunti a Badaling un’amara delusione c’attende: oltre alla miriade di turisti “mordi e fuggi”, detesto i duecento negozietti che vendono il “logo” della Grande Muraglia stampato su cappellini, magliette, accendini… ma come spesso accade: tutto questo alimenta il turismo e ripaga migliaia di vite umane con il prezzo del business! Comunque nonostante questo merchandising, la Grande Muraglia lascia basiti: quasi impossibile immaginare il taglio ed il trasporto di quelle pietre dalle cave fino alla Muraglia, senza attrezzi e mezzi moderni! Non ha tutti i torti la Professoressa Li a dire che ogni pietra della Grande Muraglia vale una vita umana… i giovani vennero arruolati a forza, i villaggi rimasero privi di braccia valide e la gente cantava: “se hai figli maschi sei disgraziato, se hai figlie femmine puoi ancora mangiare”. Un vero peccato che Neil Armstrong e Jim Irwin abbiano detto che il “serpentone di pietra” non è visibile dalla luna, per tutti quei morti e quegli sforzi sovrumani sarebbe stata una degna ricompensa, no?!

Ma è il primo gennaio 2001 quando vivo la vera avventura in vetta alla Grande Muraglia. Alle sette e mezza di mattina, reduci dall’ennesima notte insonne trascorsa in discoteca (la notte di San Silvestro appunto), affitto con la solita ventina di amici un busdiretto a Simatai. (Badaling, Mutianyu, Jinshanling e Simatai sono le quattro località aperte al turismo).
Il tempo è ostico: venticinque gradi sotto zero, il vento gelido sega il viso ed indurisce il naso! Giunti alla Muraglia la guida indica dove mettere i piedi, perchè in alcuni tratti il sentiero è troppo ripido e ghiacciato.
Quando visito un sito storico come il Colosseo, Versailles o la Città Proibita intravedo con l’immaginazione i personaggi del tempo: a Roma vedo gli schiavi combattere nell’Arena, a Versailles i balli di corte con vestiti sfarzosi, a Beijing ammiro l’Imperatore con concubine, eunuchi e ministri, qui sulla Muraglia, “sento” il grido delle sentinelle che, grazie alla calcolata distanza tra le torri, si propaga come un’eco da un estremo all’altro.
Un’amante della Cina come me dovrebbe stravedere per quest’opera, ma il contributo di vite e le sofferenze che è costata ne degenera l’imponenza (o l’esalta a seconda dei punti di vista).
L’immagine si deteriora ulteriormente pensando alla parziale inefficacia di tale sacrificio perché, in fin dei conti, la Grande Muraglia non riuscì a proteggere la Cina dalle invasioni degli Unni; fu invece sfruttata per velocizzare lo spostamento di truppe e soprattutto merci in un territorio montagnoso impervio, scopo per altro ottenibile con una strada lastricata di più semplice costruzione.
Ancora una volta resistono l’inutile ed il superfluo! Scomparvero civiltà, si dispersero tradizioni, decaddero Imperi, ma le pietre modellate dall’uomo vincono il tempo per testimoniare con la loro freddezza il passato. Oscar Wilde ne “il ritratto di Dorian Gray” scrisse: “il solo fascino del passato è il fatto che sia passato”.

La parziale insoddisfazione della gita deriva anche da un triste ricordo in qualche modo a lei collegato: la ganmao, l’influenza cinese, una delle più balorde. Infatti, a causa del freddo preso sulle antiche vestigia, passo la settimana seguente sotto le coperte lottando con febbre alta e tosse da spezzare i polmoni. Ma questo contrattempo m’offre un’opportunità, l’ammalarsi in Cina permette di ricorrere alla Medicina Tradizionale Cinese, oggi nota anche in Occidente e forse sopravvalutata da molte donne che sperano di risolvere problemi di cellulite sperimentando erbe miracolose ed agopuntura! Occorre anche sfatare il mito che queste cure, antiche migliaia d’anni, sconfiggano tumori o malattie che non riusciamo a debellare completamente in Occidente… in Cina si muore di cancro come da noi! Secondo la MTC, la longevità s’ottiene conservando una temperatura corporea costante, seguendo una dieta bilanciata, dormendo un tempo sufficiente e praticando esercizi fisici quotidiani. Ecco perché al mattino i parchi sono colmi d’anziani che si esercitano nel taiqi.
Il dotto amico Zhang che è al terzo anno di Medicina, sostiene che il punto di partenza della MTC sia “curare le cause e non i sintomi della malattia” perché la MTC cura tutto il corpo, non solo le parti dolenti. Zhang ricorre spesso ad erbe come il ginseng, noto energetico in grado di sviluppare l’intelletto, ritardare la vecchiaia e stabilizzare il sistema nervoso. Purtroppo però il padre di Zhang, medico anche lui, non prescrive solo infusi d’erbe, ma i ricettari comprendono anche inusuali ingredienti quali lombrichi, scarafaggi, ippocampi e le costosissime pinne di pescecane, per non parlare della polvere ricavata dalle corna di cervo, cistifellea di serpente, corna di rinoceronte nero, ossa di tigre e, per tutto ciò, non c’è quindi da stupirsi che la MTC sia deprecata dagli animalisti. Il vantaggio di questi farmaci pare sia l’assenza di controindicazioni, ma ovviamente Zhang non parla della scarsità d’igiene con cui vengono preparate e della contraffazione; quanti i ciarlatani che vendono pillole fabbricate con sostanze sconosciute sperabilmente innocue, promettendo terapie impensabili come il controllo del sesso del nascituro…!?
Dunque, voglio sfruttare la malattia per visitare uno studio ospedaliero.
Da sola il lunedì mattina mi reco nell’ospedale accanto al Campus che, come tutti gli ospedali cinesi non infonde coraggio per le condizioni igieniche precarie e l’odore insopportabile di medicinale. La settimana scorsa Sibille è venuta qui un paio d’ore per un’indigestione, “Lolla credo che persino in India le strutture sanitarie siano migliori” osserva, quindi sono psicologicamente preparata al peggio. Mi fanno accomodare in un’anonima sala d’aspetto gremita di Cinesi, ma poco dopo, siccome noi laowaiabbiamo la precedenza, è il mio turno. Entro in uno studio piccolo ma accogliente che pare abbastanza pulito, il medico arriva, sorride e mi tocca il polso raccontando che conosce trenta diversi battiti che permettono di capire con precisione lo stato di salute del paziente, poi mi chiede di aprire la bocca per vedere se la lingua è bianca, secca, scivolosa o non so che altro. Con stupore la visita finisce qui e dopo avermi prescritto qualche erba mi congeda. (Non saprò mai se la cura è azzeccata, perché giammai prenderò gli infusi prescritti, ma sono comunque soddisfatta per aver sperimentato la visita d’un medico cinese!)
L’unica medicina cinese, se così si può considerare, che uso ancor oggi è il “balsamo di tigre”, molto apprezzato anche dagli Imperatori del passato; è un balsamo che nulla ha da spartire con la tigre, ma spalmato nei punti dolenti attenua spesso il dolore fino a farlo scomparire. L’odore è particolare, frutto d’una combinazione di mentolo, cannella, chiodo di garofano, canfora e menta.
Anche Yens, un amico tedesco, inizia l’anno “in bellezza” per un colpo d’aria preso nella stessa gita alla Muraglia, lui però decide di sottoporsi all’Agopuntura. Yens assicura che funziona e dopo un paio di sedute, il lacerante dolore scompare. Spiega che il dottore, senza causare il minimo dolore, inserisce lungo la schiena degli aghi che agevolano “micro-scosse elettriche”; tali aghi, un tempo erano di bambù, oro ed argento, oggi sono d’acciaio. Leggo s’una rivista che sono duemila i punti sensibili in cui inserire l’ago, ma oggi se ne utilizzano solo centocinquanta.
Incuriosita, prego Zhang di spiegarmi lo scopo dell’ago: il corpo umano ha dei canali d’energia chiamati meridiani, se stiamo bene questa energia scorre normalmente, ma quando siamo malati perde forza e circola debolmente; ogni meridiano è quindi un punto dove inserire gli aghi per stimolare l’energia ed annullare le cause della malattia. Zhang ricorda che l’agopuntura cura anche emicranie, artriti, febbri alte e persino la voglia di fumare…
Amo la Cina, ma guardo con scetticismo agopuntura e MTC in generale, come posso credere che aghi conficcati nella pelle curino l’artrite ed il ling zhi (fungo dell’immortalità) sia attivo come terapia anti-aids? Se così fosse, perché non utilizzarlo per salvare la vita ai malati di AIDS che tuttora muoiono nel mondo?


UNA SERA ALL’OPERA DI PECHINO
Chi è superbo non primeggia tra gli uomini.
PROVERBIO CINESE

Alle sette d’una mite serata di maggio due pulmini carichi di studenti scaldano i motori, si parte per la Laoshi Teahouse dove si beve tè al gelsomino applaudendo all’Opera di Pechino: una mescolanza di numeri di magia, canto, acrobazie, satira, teatro e combattimenti a suon di musica.
Appena arrivati, seduti a veri e propri tavoli di fronte al palcoscenico, ci vengono offerti tè caldo, frutta secca, dolcetti al tè verde e marmellata di fagioli rossi; quest’ultima è una delle poche bontà cinesi che stuzzica il mio appettito.
Improvvisamente rimbomba il gong d’inizio, s’abbassano le luci, s’apre il sipario e rimango disorientata dagli abiti sfarzosi e dal suono delle percussioni che svolgono un ruolo importante quanto assordante, mentre acrobati-attori saltano da una parte all’altra della scena quasi spoglia.
A differenza del teatro occidentale dove trama, suspence, scenari e luci assumono rilevanza, qui i protagonisti sono tutto. Così viene descritto lo spettacolo: “è la sintesi dell’arte teatrale cinese, un’arte nell’anonimato in cui l’attore è l’unico artefice dello spettacolo”. Tanto per capirci, se l’attore alza un piede significa che sta attraversando una porta!
Cosa infastidisce purtroppo però è il brusio di sottofondo che non si placa mai. Ma la Professoressa Li che mi siede di fronte spiega che è nulla rispetto al passato, quando lo spettacolo durava sei ore (non due) e tutti chiacchieravano, fumavano, mangiavano ed a volte allattavano persino i piccoli, insomma, la gente si disinteressava all’azione fino a quando tutti s’ammutolivano per seguire con rapimento un’azione particolare od una famosa melodia. Hanno scritto: “era tutto un gridare di hao hao (bene bene), due minuti dopo però il pubblico continuava a vivere la propria vita che si svolgeva parallela ed indifferente alla vicenda rappresentata, uno spettacolo nello spettacolo”.
Ma ahimè quest’arte sta morendo, così dice la Professoressa: “solo gli anziani l’apprezzano, mentre i giovani con lacunose conoscenze teatrali la ritengono obsoleta”. Non è semplice seguire i dialoghi, persino lei fa fatica perché le espressioni sono arcaiche, ma per mia fortuna due grossi monitor visualizzano frasi e traduzioni inglesi. Affascinano i colori di vesti e viso che Meili dice svelano se il personaggio è onesto (azzurro), malvagio (nero), membro della famiglia imperiale (giallo), nobile (rosso) o parte del popolo (blu). Anche i trucchi “parlano”: un triangolo intorno all’occhio caratterizza l’astuto, mentre il nemico si riconosce dalmaquillage complesso in contrasto a quello semplice del buono. Stupisco quando Meili dice che in passato i ruoli femminili erano perlopiù interpretati da uomini perché, a quei tempi, il fare l’attore era una professione poverissima e quasi indecorosa! Infatti famosi in tutto il modo sono i ruoli femminili di Mei Lanfang, l’attore cinese che portò l’Opera di Pechino in Occidente ed influenzò Charlie Chaplin, almeno così si dice.
Un paio di sere dopo aver assistito all’Opera, spinta dalla curiosità compro due biglietti per andare a vedere gli acrobati con Xiao. A differenza dell’Opera qui regna un religioso silenzio anche perché gli atleti sono tutti giovanissimi, tra i quindici ed i venticinque anni. Tolgono il respiro con salti mortali quadrupli, contorcendosi come avessero ossa di gomma e creando figure nell’aria o in bilico su pile di piatti. Un amico di Xiao è un acrobata, ha vent’anni e come i suoi colleghi ha iniziato la carriera a soli cinque anni; le acrobazie sono la sua vita, esce di rado con gli amici, deve allenarsi tutti i giorni, non può bere ed ha una dieta da rispettare. Xiao si dice soddisfatto di studiare medicina perché ironicamente osserva che lui non solo ha una “vita”, ma ha anche un futuro: infatti dopo i trent’anni la carriera degli atleti termina, alcuni insegnano mentre la maggioranza torna sui banchi di scuola… ma in molti casi siccome finiscono per laurearsi poi a trentacinque e più anni, sono solo destinati a svolgere lavoretti poco renumerativi e quasi per nulla soddisfacenti.

ANIMALI IN GABBIA
E’ difficile riconoscere un gatto nero in una stanza buia quando il gatto non c’è.
PROVERBIO CINESE

Presa dalla foga di vivere al meglio la mia Cina prima dell’imminente ritorno in patria, un afoso mattino di fine giugno vado con Meili ed una sua amica allo zoo di Beijing. Inizialmente titubanti perché ci rattrista alimentare il business degli animali in gabbia, poi convinte dalla curiosità di ammirare panda, yak, koala, scimmie cinesi dello Sichuan, tigri della Manciuria, asini selvaggi Tibetani, coccodrilli dello Yangzi, strane gru con la testa rossa…
Alle otto, Meili e Xin attendono ai cancelli del Campus, arrivo puntuale anche se è traumatico svegliarsi all’alba di sabato, ma ormai sono assuefatta a dormire poco, la brama dell’esplorare ogni angolo cinese ha il sopravvento e riposare suona ormai come perdere tempo, “fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtude e conoscenza”.
Xin, l’amica di Meili, fa subito un’ottima impressione, non è una bellezza, ma la figura snella, gli occhi vivaci e la battuta pronta sprizzano energia ed indicano un carattere deciso, anche il suo nome piace, Xin traduce sia “cuore” che “mente”. Quando la presento agli american boys riscuote subito un enorme successo!
Ci muoviamo in bus fino alla metropolitana di Xizhimen, poi c’inabissiamo nel metrò ove naturalmente tutti mi fissano come fossi un “marziano” ancor più strano perché parla cinese!
Una voce metallica dell’altoparlante mi salva dagli sguardi invadenti e m’appresto a scendere, cioè alla lotta, visto che quelli a terra si tuffano dentro il mezzo, mentre quelli dietro spingono per buttarti fuori. Adirarsi non serve, è così e basta.
Una volta a terra camminiamo di buona lena fino allo zoo, giunti alla biglietteria Meili s’impunta per offrirmi l’entrata. I Cinesi sono inflessibili su ciò che chiamano le buone maniere e spesso insistono per fare gentilezze; una sera a cena con Josh assisto persino ad una scazzottata tra colleghi che vogliono pagare a tutti i costi il conto del ristorante, cose da matti!
Eccoci nello zoo, un parco enorme dove sopravvivono animali di ben cinquecento speci diverse. Xin ci trascina baldanzosa dalle sue bestie preferite: gli yak, incroci tra bufali, mucche e tori. Chissà come sopravvivono alle torride estati pechinesi considerando che la maggioranza vive sulle gelide montagne della Cina del nord?
Ad esser sinceri sono allo zoo per vedere il mitico panda gigante, simbolo di pace e qui chiamato daxiongmao (grande orso gatto), il corpo infatti ricorda quello degli orsi, mentre gli occhi quelli dei gatti (fessure verticali e non rotonde), anche il pollice opponibile delle zampe anteriori lo differenzia dagli orsi. E’ esattamente come l’avevo immaginato: sembra un peluche enorme, tutto bianco con macchie nere attorno a occhi, orecchie, spalle, petto e zampe che gli permettono di mimetizzarsi nella neve e dove ci sono rocce. Viene voglia d’abbracciarlo, adorabile quando cammina traballando. Pur essendo alto due metri e pesando cento chili, sembra un bambino quando si aiuta con le “zampine” anteriori per portare il cibo alla bocca. Xin spiega che appena nati sono ciechi, senza pelo e piccoli come una mela (i mammiferi più piccoli della terra) e come gli umani, anche loro piangono quando hanno fame o vogliono essere coccolati. Se nessuno li uccide prima e trovano cibo a sufficienza, vivono in media trentacinque anni mangiando diciotto chili di bambù al giorno, ma purtroppo ne sono rimasti solo millecinquecento, di cui un centinaio vivono all’interno di zoo o allevamenti, seppure il loro habitat naturale siano le montagne innevate dello Sichuan e dello Shaanxi. Come per molte altre speci, il loro peggiore nemico è l’uomo… i bracconieri che vendono le loro pellicce a prezzi esorbitanti! Già raro e considerato un semidio dai Cinesi della dinastia Han (secondo secolo a.c. e primo secolo d.c.), rimase sconosciuto agli Europei fino al ventunesimo secolo, quando il missionario francese Padre David andò in Cina per raccogliere fiori ed animali rari, sentì parlare dell’ “orso bianco” e riportò la notizia in Europa; la scoperta arrivò alle orecchie di cacciatori e mercanti che proposero a zoo e musei occidentali di catturarli per centomila dollari, vivi o imbalsamati! Nel trentanove, il governo cinese proibì la cattura degli “orsi bianchi”, ma il più era fatto, la specie era in estinzione, dice disperata Xin!
La visita finisce ed una certa angoscia mi pervade, ripenso allo scetticismo iniziale ed adesso trovo conferma che è “incivile” imprigionare delle bestie per farle vedere… non entrerò mai più in uno zoo!